Curcio Medie

L’energia della Terra è sufficiente a soddisfare le richieste delle attuali civiltà terrestri?
E se pure non si arrivasse a una fine domani, quanto tempo ci vorrà perché la Terra raggiunga lo stadio evolutivo finale?
E comunque, che diritto ha l’uomo di sfruttare indiscriminatamente quanto la Terra stessa gli offre, pensando di essere l’unico proprietario delle sue risorse?
Ora metteremo in luce brevemente alcune tappe della storia del processo di conoscenza dell’interno della Terra, a partire dal periodo cosiddetto presismologico, quando cioè le informazioni erano più che altro supposizioni prive del supporto fondamentale dei dati sismici. In seguito il disegno dell’interno della Terra si è fatto sempre più preciso e dettagliato e permette ormai una conoscenza approfondita. Questa conoscenza è, o almeno dovrebbe essere, alla base di qualsiasi operazione si voglia fare sulla superficie della Terra: dallo studio dei fondi oceanici all’apertura di cave e miniere, o ancora allo scavo di pozzi per acqua o petrolio. Mai come nel caso della Terra elementi sicuri di conoscenza possono permettere di evitare il ripetersi di errori che potrebbero finire col rivelarsi fatali.

Il passato presismologico
Non c’è bisogno di fare citazioni per ricordare che nel passato più antico le idee dell’uomo sull’interno della Terra erano piuttosto approssimative. Nel XIX secolo, però, dopo l’enunciazione della teoria della gravitazione universale da parte di Isaac Newton, il grado di conoscenza aveva già raggiunto un livello molto più elevato. Si conoscevano infatti le dimensioni, il peso e la densità della Terra e, anzi, si poteva già supporre che il materiale dell’interno fosse molto più denso di quello della superficie. Inoltre, si facevano i primi tentativi di calcolare la temperatura interna della Terra e si congetturava se l’interno si trovasse allo stato solido oppure liquido.
In breve, nel cosiddetto periodo presismologico la Terra era considerata composta da tre grossi strati: uno esterno solido (la crosta), uno più interno elastico (il mantello) e un nucleo centrale ancora solido. Come si vede, le congetture erano ancora piuttosto lontane dal livello attuale di approssimazione, e si può ritenere che senza il supporto della sismologia moderna non si sarebbero fatti grandi passi in avanti

La conoscenza moderna della struttura della Terra
In un esempio ormai noto si paragona il progresso fatto dalle scienze della Terra attraverso l’introduzione degli studi sismologici a quello fatto dalla medicina nel momento in cui furono introdotti i raggi X.
Come si sa, la struttura interna del corpo umano è messa in luce dalla fotografia fornita dall’attraversamento dei raggi X: un occhio esperto e allenato è in grado di riconoscere eventuali patologie dall’esame dei bianchi e dei neri che costituiscono la lastra. Così un sismologo sa leggere i risultati di un profilo sismico o di un sismogramma per rivelare la struttura di quel particolare settore esaminato o anche di tutta la Terra.

Naturalmente l’interpretazione di un sismogramma non è semplice, ma vediamo come si è arrivati a mettere in relazione onde sismiche e struttura della Terra.
Fu solo alla fine del XIX secolo che alcuni sismologi europei e americani furono colpiti dalla coincidenza nel tempo dell’arrivo delle onde sismiche di grandi terremoti in diversi punti del mondo. In quell’occasione si scoprì anche che le onde sismiche non erano tutte uguali; fu così possibile distinguere le onde primarie (onde P) e secondarie (onde S). Il geofisico Oldham, nel 1900, in base alla differenza dei tempi di arrivo delle onde P e S, fu in grado di fare un grande passo avanti nella conoscenza dell’interno della Terra: fu infatti identificato un nucleo che può essere messo in luce dall’andamento delle onde sismiche. Qualche anno dopo lo slavo Andrija Mohorovicic scoprì l’esistenza di un’altra discontinuità, posta a circa 50 km di profondità, che, come oggi sappiamo, divide la crosta dal mantello sottostante, non a caso è detta «discontinuità di Mohorovicic» o semplicemente «Moho».
Ma nonostante questi evidenti progressi, non tutto è ancora risolto. Per esempio, le discontinuità messe in luce dalle onde sismiche separano settori della Terra diversi da un punto di vista fisico, per esempio uno solido e uno fuso, oppure anche chimicamente diversi nella loro composizione? E poi: quelle discontinuità hanno un’estensione globale, riguardano cioè tutto il pianeta, oppure no? Utilizzando le parole del geofisico Bruce Bolt, «la Terra assomiglia più a un panettone o a una cipolla?».


Allo stato attuale della conoscenza si pensa che le discontinuità che caratterizzano l’interno della Terra siano in prima approssimazione continue spazialmente – la Terra, cioè, assomiglierebbe a una cipolla –, ma certo non sono statiche come si poteva pensare anni fa. La Moho, per esempio, è senz’altro riscontrabile dai geofisici di tutto il mondo, ma non per questo si trova dovunque alla stessa profondità, e spesso è raddoppiata o triplicata. Questo significa che anche queste discontinuità hanno avuto una propria storia, e che se ne possono riscontrare di fossili e che altre ancora se ne formeranno all’interno della macchina in continua evoluzione che è il pianeta Terra.
Lo stadio evolutivo finale non sarà osservato dall’uomo: la crosta del pianeta sarà ormai ispessita al punto da formare una specie di corazza solida per molte centinaia di chilometri e il residuo interno ancora fuso non avrà più la forza sufficiente per frammentarla mandando alla deriva continenti e placche. Non ci saranno più terremoti ed eruzioni vulcaniche e la Terra assomiglierà a un pianeta geodinamicamente morto, un po’ come è la Luna oggi.

L’ipotesi di Gaia
Senz’altro oggi sappiamo molto più di un tempo sulla costituzione interna della Terra e sappiamo come la dinamica della superficie terrestre, nella quale va ricercata l’origine delle riserve naturali, dipenda da quella interna, la geodinamica. Tutti i ragionamenti e le deduzioni che sono stati fatti considerano la Terra un oggetto dotato di una propria dinamica, ma certo non animato.
Convinto che le cose non stessero esattamente così, alla fine degli anni Settanta del Novecento lo scienziato inglese James Lovelock ha formulato la teoria di Gaia, nome che deriva dal greco ghé, terra. Secondo Lovelock, nel sistema Gaia le caratteristiche e l’equilibrio di crosta terrestre, atmosfera, oceani e mari dipendono proprio dagli esseri viventi, dunque anche la loro idoneità a ospitare la vita. Essi dunque reagiscono ai comportamenti degli esseri viventi, incluse le minacce dell’uomo.

L’importanza delle montagne
Le catene montuose sorgono in base a meccanismi geodinamici in gran parte noti; le montagne, inoltre, sono la palestra ideale per i lavori dei geologi e per questo motivo ogni geologo è idealmente legato da un rapporto che potremmo definire di amore con la montagna.
Le montagne hanno anche una grande importanza nell’ecosistema del pianeta Terra: esse, infatti, sono il fulcro della cosiddetta criosfera, vale a dire delle zone della Terra che possono raggiungere temperature molto basse a causa della neve o dei ghiacciai.
L’importanza di queste regioni sta nella possibilità di riflettere il calore nello spazio, il cosiddetto effetto albedo, e di controllare quindi lo scioglimento dei ghiacci e il livello dei mari. Inoltre, quasi tutte le montagne sono ricoperte, almeno fino alle quote più basse, dalle foreste e dai boschi.


Grande è quindi l’importanza delle catene montuose, ma altrettanto grande è la minaccia che esse attualmente subiscono. Le regioni montuose sono in effetti aree in continuo disequilibrio, quindi aree in cui è difficile, per esempio, coordinare interventi che riducano il rischio della deforestazione o l’arretramento dei ghiacciai, il quale è legato anche a fattori di altra natura.
Dalla protezione della montagne dipende la salute del pianeta Terra.

Il Protocollo di Kyoto
Il 16 febbraio 2005 è entrato in vigore il Protocollo di Kyoto, documento approvato nel 1997 nell’ambito della Convenzione delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico. Il Protocollo impone ai paesi aderenti una diminuzione delle emissioni di gas serra derivanti dalle attività umane. Come limite temporale per il raggiungimento dell’obiettivo di riduzione delle emissioni è stato fissato il 2012. Ciascun paese aderente si è attribuito una percentuale di riduzione non inferiore al 5,2% rispetto ai livelli del 1990: l’Italia, per esempio, ha assunto l’impegno di ridurre le proprie emissioni del 6,5%. Tra i paesi che, invece, hanno rifiutato di sottoscrivere il Protocollo figurano gli Stati Uniti, l’Australia, la Croazia, il Kazakistan, la Cina, l’India, l’Indonesia e il Brasile. Se la mancata adesione degli Usa al trattato è attenuata dal fatto che alcuni stati della repubblica federale hanno autonomamente adottato politiche di riduzione delle emissioni – è il caso, per esempio, della California –, particolarmente preoccupante è la mancata firma da parte di grandi paesi in via di sviluppo. È positivo, però, che alcuni di questi paesi abbiamo assunto impegni seri alla Conferenza Onu sul clima che si è tenuta a Copenaghen dal 7 al 18 dicembre 2009.

Qual è il limite delle riserve della Terra?
Al punto in cui è arrivata la situazione sul nostro pianeta non si tratta di sapere se le nostre risorse e riserve sono veramente esauribili o no: questo è comunque un problema, soprattutto per le generazioni future, ma piuttosto si tratta del modo in cui queste risorse sono sfruttate. Come è noto, esistono risorse che sono sicuramente non riutilizzabili, come i combustibili fossili (petrolio e carbone), di cui si fa un uso indiscriminato e miope, talvolta anche consapevolmente.
La domanda che ci si dovrebbe porre non è tanto quanto ancora dureranno quei combustibili, ma che diritto ha una generazione di uomini di consumarli quasi completamente per far muovere le proprie macchine producendo inoltre milioni di tonnellate di sostanze inquinanti.
Alcuni dei danni prodotti sono reversibili, è possibile cioè ripulire un fiume inquinato (valga per tutti l’esempio del Tamigi, che è stato inserito in un importante progetto di depurazione) o rimboschire una foresta, ma tutto questo resta un piccolo passo se non si va alla causa prima, alle origini dei danni. Tutto sommato si tratta di instaurare un rapporto più sano con il pianeta al quale dobbiamo la vita, un rapporto armonico che ha necessariamente bisogno di molto tempo per riequilibrarsi e vedere riparati i danni già causati. Insomma, il limite vero delle riserve della Terra sta in noi.

Gli indicatori del declino
Ci si può ragionevolmente chiedere quali siano i più chiari indicatori del declino ambientale, e in definitiva di tutto il pianeta Terra, per vedere se si è ancora in tempo per porvi rimedio. In realtà l’indicatore più chiaro è proprio il fatto che ci stiamo avvicinando al punto in cui non ci sarà più rimedio per alcuni dei danni creati dall’uomo, ossia che certi danni ecologici stanno per diventare irreversibili. Se, infatti, continueranno le deforestazioni e le distruzioni degli ambienti naturali, lo sterminio di migliaia di forme di vita raggiungerà livelli ineluttabili di non reversibilità. Il tasso di perdita di specie viventi è andato accelerando negli ultimi anni ed è molto più grave quando a scomparire è una specie vegetale, da cui possono dipendere fino ad altre 30 specie.
Danni non reversibili facilmente, se non si invertirà il modello di sviluppo basato sullo sfruttamento sommario e senza giudizio dell’ambiente e dell’uomo sull’uomo, sono anche la riduzione dell’ozono nell’atmosfera, l’aumento indiscriminato della popolazione mondiale, l’inquinamento atmosferico, la distruzione delle popolazioni tribali.

 

GLOSSARIO

Albedo. Percentuale della radiazione totale incidente che viene riflessa da una superficie.

Sismogramma. Registrazione fornita da un sismografo sotto forma di grafico che indica l’andamento delle onde sismiche.

 

ATTIVITÀ PER LE COMPETENZE

1- L’energia della Terra è sufficiente a soddisfare le richieste delle attuali civiltà terrestri?

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2- Qual è il limite delle riserve della Terra?

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3- Cosa s'intende per sismogramma?

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4- Parla del protocollo di Kyoto.

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5- Leggi ogni paragrafo del testo, fai il riassunto di ognuno sottolineando le parole chiave. Poi ripeti tutto a voce alta.

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