Curcio Medie

La Prima Guerra Mondiale si era conclusa lasciando insoddisfatte molte delle nazioni che vi avevano partecipato: l’Italia avanzava richieste territoriali; la Francia ed il Belgio avevano sperato in un totale annientamento della Germania, che però non si era compiuto; la Germania aveva subito durissime condizioni; la Russia era rimasta isolata dal contesto europeo.

Già dopo pochi anni, l’assetto che si era stabilito nel continente risultava imperfetto e infondeva, sia nei vincitori che nei vinti, una sensazione di precarietà. La scarsa coesione tra le principali potenze occidentali era dovuta, in parte, all’atteggiamento degli USA: essi non avevano ratificato la pace di Versailles e non avevano aderito alla Società delle Nazioni e in questo modo si erano tirati fuori dalle questioni europee.
La crisi economica americana del 1929, che in Europa si fece sentire soprattutto tra il 1930 ed il 1932, diffuse la convinzione che il sistema democratico-liberale fosse per sua natura instabile e questo portò in più Paesi al rafforzamento di governi autoritari (sia di destra che di sinistra), che spesso avevano nel nazionalismo aggressivo uno dei suoi fondamenti.
In Germania l’avvento al potere del Partito Nazionalsocialista portò la nazione a una politica violenta verso i Paesi confinanti, ma fino al 1937 l’atteggiamento tenuto in Europa nei suoi confronti fu quello dell’appeasement (ammansire) proposto dell’Inghilterra: bisognava accontentare Hitler nelle sue “richieste ragionevoli” e così le annessioni dell’Austria e della regione dei Sudeti alla Germania furono riconosciute nel Congresso di Monaco di Baviera (1938). Ma la debolezza delle nazioni europee portò Hitler ad accelerare i suoi piani: già nell’aprile del 1939 il dittatore cominciò a preparare l’attacco alla Polonia.

L’inizio della guerra
Consapevole delle rovinose difficoltà in cui la Germania s’era trovata nella Prima Guerra Mondiale dovendo combattere su due fronti (quello occidentale contro la Francia e l’Inghilterra e quello orientale contro la Russia), Hitler decise di stipulare un accordo con l’URSS: nell’agosto 1939 fu firmato un patto di non aggressione, al quale si aggiunse un accordo che stabiliva la divisione della Polonia in due zone d’influenza.
Il trattato tranquillizzò i Russi, ma allo stesso tempo convinse Hitler ad avviare il suo piano di conquista: con le spalle sicure a oriente, egli organizzò la linea difensiva lungo il confine con la Francia (linea Sigfrido) e il 1° settembre attaccò la Polonia, che capitolò in pochissimi giorni. Già due giorni dopo Inghilterra e Francia, che avevano promesso il proprio aiuto alla Polonia nel caso di un attacco, dichiararono guerra alla Germania. Iniziava così la seconda guerra mondiale, alla quale parteciparono attivamente tutti i continenti.

Come già era accaduto nel precedente conflitto, Hitler voleva battere la Francia in velocità e in potenza colpendola da nord. Dal settembre 1939 al momento dell’attacco (10 maggio 1940), egli aveva già conquistato la Polonia, la Finlandia, la Norvegia, la Danimarca, il Belgio, l’Olanda e il Lussemburgo e poteva dunque contare sulle loro risorse. La forza delle armate tedesche era tutta nell’aviazione, perché il suo esercito era meno potente di quello francese e la forza navale nettamente inferiore a quella inglese.
Dopo violenti bombardamenti aerei, dal 10 al 13 maggio le corazzate tedesche ruppero la cosiddetta linea Maginot (la poderosa linea di difesa che proteggeva la Francia lungo il confine tedesco) e dilagarono nella pianura francese; poi, mentre gli Inglesi si imbarcavano frettolosamente a Dunkerque, i Tedeschi entravano a Parigi (14 giugno). Dopo l’armistizio, firmato il 22 giugno a Rethondes, in Francia fu proclamata la Repubblica filo-fascista detta di Vichy, mentre parte dell’esercito continuò a combattere contro i Tedeschi in Algeria.

L’Italia era legata alla Germania dal Patto d’acciaio (maggio 1939) e, a causa di alcune condizioni che vi erano contenute, entrò in guerra solo il 10 giugno 1940, quando Hitler trionfava già su tutta l’Europa. Gli Italiani riportarono delle vittorie in Africa orientale, in Africa settentrionale e nel Mediterraneo centrale, ma nelle zone estreme di questo mare gli Inglesi ebbero la meglio, grazie ad una maggiore disponibilità di mezzi.

Mussolini ed Hitler studiano le mosse delle truppe sul fronte russo

Nel frattempo Hitler aveva preparato la grande impresa dello sbarco in Inghilterra, con un piano (chiamato “Leone Marino”) che prevedeva un massiccio attacco dal cielo. Nell’offensiva, iniziata l’8 agosto 1940, vennero impiegati ben 2669 aerei, ma la RAF (l’aviazione inglese) era meglio dotata qualitativamente e avvantaggiata dall’impiego dei radar. Essa dunque resisteva bene e, dopo un mese, la Luftwaffe (l’aviazione tedesca) fu costretta a cambiare strategia: il 7 settembre iniziò il martellamento di Londra, che durò quasi due mesi consecutivi, ma la coraggiosa resistenza della popolazione londinese sopportò il peso della guerra, consentendo alla nazione di preparare le difese. Il 12 ottobre, Hitler annunciò ai suoi il rinvio dell’operazione.

Tra la fine del 1940 e l’inizio del 1941 le truppe tedesche dovettero intervenire in aiuto di quelle italiane su due distinti fronti, quello europeo e quello africano.
Gli Italiani avevano infatti occupato l’Albania nel 1939 e da lì avevano deciso di attaccare la neutrale Grecia, ma poche settimane dopo l’inizio delle ostilità (28 ottobre 1940), male armati e non attrezzati per la guerra di montagna, erano stati respinti dalle montagne del confine greco-albanese fin quasi al mare; così, nell’aprile del 1941, intervenne la Germania e in breve tempo travolse sia la Grecia che la Iugoslavia. Sul fronte africano, invece, dopo un inizio positivo, le truppe italiane non erano più riuscite ad arrestare l’esercito inglese; l’arrivo in marzo dei Tedeschi guidati dal generale Rommel consentì all’Italia di conservare almeno la Libia.

In Europa la Germania non aveva più nemici e poteva rivolgersi all’Unione Sovietica, il suo vero obiettivo. Il 22 giugno 1941 l’esercito tedesco si lanciò alla conquista dell’URSS (fu la missione Barbarossa), ma nessuno degli obiettivi prefissati (Leningrado, Mosca, Caucaso) fu raggiunto prima che giungesse l’inverno. Sebbene i Tedeschi fossero riusciti a penetrare in profondità nel territorio russo, l’esercito sovietico non era stato distrutto e nel dicembre lanciava la sua prima offensiva, allontanando la minaccia da Mosca. La Germania aveva conquistato territori ampissimi, ma era costretta a mantenere il grosso dell’esercito in URSS, lasciando scoperti altri fronti.

Il 7 dicembre 1941, infine, entravano in guerra anche gli USA, trascinati dall’aggressione dei Giapponesi (legati a Germania e Italia dal Patto tripartito del 1940) alla base navale di Pearl Harbour, nelle Hawaii. Lo schieramento delle forze era ormai completo: da un lato Stati Uniti, Gran Bretagna, Unione Sovietica, più la Cina, la Francia libera (cioè i Francesi che continuavano a combattere dalle colonie) e numerosi alleati minori; dall’altro Germania, Italia e Giappone. Allo scoppio della guerra gli Stati Uniti si erano dichiarati neutrali, ma già dal 1940 avevano intrapreso una politica di aperto sostegno economico alla Gran Bretagna.
Il Giappone, invece, aveva approfittato della guerra per estendere i suoi possedimenti in tutto il Sud-est asiatico: lo scontro con gli Stati Uniti, con la Gran Bretagna e con la Francia, che avevano forti interessi nell’area, era stato dunque inevitabile.

1942-1943: la svolta
Nella primavera del 1942 le forze del Patto tripartito (Germania, Giappone e Italia) raggiunsero la massima estensione, ma tra la fine del 1942 e il 1943 vi fu una svolta su tutti i fronti. Nel Sud-est asiatico il Giappone ebbe i primi insuccessi, mentre la Germania subì nel giro di pochi mesi due importanti sconfitte.
La più grave avvenne in URSS: nell’agosto del 1942 i Tedeschi assediarono Stalingrado, resistettero a oltranza fino a novembre senza riportare alcuna vittoria e, accerchiati dal nemico, finirono per perdere un’intera armata. La seconda sconfitta portò invece la Germania e l’Italia a perdere tutti i loro territori africani: nell’ottobre 1942 le truppe italo-tedesche guidate da Rommel furono sconfitte da quelle inglesi di Montgomery presso il villaggio egiziano di El Alamein e poi, incalzate da armate provenienti dal Marocco e dall’Algeria, dovettero arrendersi (maggio 1943).

Intanto gli Anglo-americani avevano deciso di aprire in Europa un secondo fronte oltre a quello russo, per costringere i Tedeschi a dividere le proprie forze. Decisero quindi di colpire il più debole dei loro nemici, l’Italia. Gli alleati sbarcarono con facilità in Sicilia, il 10 luglio 1943, e quando il 16 agosto ne completarono l’occupazione, Mussolini era già caduto: il 25 luglio, per un voto contrario del Gran Consiglio del fascismo e per l’intervento di re Vittorio Emanuele III, Mussolini era stato costretto alle dimissioni e così era crollato il fascismo, in poche ore e senza nessuna resistenza.
La carica di Primo Ministro era stata affidata al generale Pietro Badoglio. Quando l’8 settembre fu improvvisamente reso noto l’armistizio con le forze alleate, il Paese si trovò nel caos; quel poco che restava dell’esercito italiano si disperse, i Tedeschi occuparono la penisola dal nord e gli eserciti alleati vi avanzavano a fatica dal sud. Così, l’Italia divenne uno dei tanti Paesi occupati, divisa in due dalla cosiddetta linea Gustav che andava da Gaeta (sul mar Tirreno) alla foce del Sangro (poco a sud di Pescara sulla costa adriatica). Ogni atto di ribellione fu punito con veri e propri massacri.

Intanto Mussolini era stato liberato dai Tedeschi e aveva fondato un nuovo Stato fascista: la Repubblica Sociale Italiana (RSI), con capitale a Salò, sul lago di Garda. Qui si raccolsero gli ultimi seguaci del fascismo, con l’unico compito di combattere contro i gruppi di partigiani che si andavano formando. La guerra, che aveva già portato migliaia di morti, si trasformava per gli Italiani in una guerra civile.

Parata di un reparto delle Brigate nere dopo la nascita della Repubblica Sociale

I primi gruppi di Resistenza ai Tedeschi sorsero spontaneamente subito dopo l’armistizio dell’8 settembre. Dal canto loro i partiti politici, che erano stati annullati dal regime, si formarono di nuovo e si organizzarono nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), con il dichiarato intento di rappresentare l’Italia democratica e l’opposizione al Governo Badoglio. Ma nel marzo del 1944 il CLN mutò atteggiamento e propose al Governo di collaborare fino alla liberazione.
Nasceva così il primo Governo di unità nazionale, sostenuto da tutte le forze politiche antifasciste. Per garantire il nuovo orientamento, sia il re Vittorio Emanuele III sia Badoglio, entrambi legati al fascismo, rinunciarono al proprio ruolo: il primo abdicò in favore del figlio Umberto, mentre l’altro fu sostituito da Ivanoe Bonomi. L’avanzata degli alleati in Italia si arrestò nell’autunno del 1944 lungo la cosiddetta linea gotica (tra Rimini e la Spezia), creata dai Tedeschi per difendere la pianura Padana, e al CLN fu imposto di interrompere le azioni; esso avrebbe ripreso in mano la situazione nella primavera del 1945, forte di 200.000 uomini.

La fine della guerra e il processo di Norimberga
Intanto la guerra continuava in Russia: dopo aver respinto l’ultimo attacco tedesco nel luglio del 1943, l’Armata rossa iniziava l’avanzata verso la Germania.
Nel novembre 1943 Roosevelt, Churchill e Stalin (rappresentanti di USA, Gran Bretagna e URSS) si incontrarono a Teheran (Conferenza Interalleata di Teheran, novembre-dicembre 1943) per decidere l’apertura di un secondo fronte che impegnasse la Germania più di quello italiano e alleviasse l’Unione Sovietica dal peso della guerra, che da un anno e mezzo sopportava quasi da sola.
Il 6 giugno 1944, dopo più di sei mesi di un’accurata preparazione diretta dal generale statunitense Eisenhower, fanterie d’assalto e carri armati sbarcavano sulle spiagge della Normandia (operazione Overlord). Fu un assalto massiccio e riuscì a cogliere i Tedeschi di sorpresa; ebbe inizio così la battaglia di Francia. Il 25 agosto Parigi veniva liberata e alla fine di settembre gli eserciti alleati entravano in Germania, dopo aver fiaccato le forze e il morale della popolazione con continui bombardamenti.
Nel febbraio dell’anno seguente, a Yalta (in Crimea), Roosevelt, Churchill e Stalin riconfermarono la loro alleanza, preparandosi all’attacco finale. Nell’aprile 1945 cadde la città di Berlino e il 25 aprile i Tedeschi in ritirata liberavano Milano; tre giorni dopo Mussolini veniva ucciso, mentre Hitler si suicidò il 30. La guerra era ormai al suo termine: l’armistizio fu firmato il 7 maggio 1945 e finalmente, tra l’8 ed il 9 maggio, in Europa cessarono le ostilità.

Restava aperto il fronte asiatico, ma la superiorità delle forze americane fu evidente già alla fine del 1944, tanto più che, liberi dall’impegno in Europa, potevano dedicarsi solo al Giappone.
Visto l’accanimento dei nemici, il nuovo presidente degli Stati Uniti, Truman, decise di impiegare contro di loro una nuova arma: la bomba a fissione nucleare, ovvero la famigerata bomba atomica, scagliata il 6 agosto sulla città di Hiroshima e il 9 su Nagasaki, che furono completamente distrutte. Il 15 l’imperatore giapponese Hiroito si arrendeva senza porre condizioni (l’armistizio fu firmato il 2 settembre 1945).

Si concludeva così il secondo conflitto mondiale, che aveva visto intere nazioni devastate e oltre 50 milioni di morti, dei quali oltre due terzi erano civili. I capi nazisti e giapponesi furono processati in due distinti processi, aperti subito dopo la fine del conflitto: quello di Norimberga contro i Tedeschi, e quello di Tokyo contro i Giapponesi. Entrambi furono portati avanti dai tribunali militari dei vincitori sulla base di tre categorie: crimini di guerra, crimini contro la pace e crimini contro l’umanità. Molti degli imputati, riconosciuti colpevoli sulla base di prove schiaccianti, furono giustiziati.