Curcio Medie

Saggio di redazione

La ricerca tra il XVII e il XIX secolo
Sin dai primordi della scienza moderna, gli studiosi italiani hanno sempre ricoperto un ruolo di grande importanza nel panorama internazionale, basti citare Giordano Bruno e Galileo Galilei, i due scienziati che nel XVII secolo sfidarono la Chiesa cattolica mettendo in discussione i suoi dogmi con la veridicità dei risultati scientifici, e pagarono duramente in prima persona per questo.

Il frate domenicano Giordano Bruno, convinto sostenitore delle teorie eliocentriche di Copernico e dell’infinitezza dell’universo, venne condannato al rogo in quanto giudicato eretico dall’Inquisizione, e arso sul rogo il 17 febbraio 1600 in piazza Campo De’ Fiori, a Roma.

Galileo Galilei è ritenuto uno dei più grandi scienziati (se non addirittura il padre della scienza) dell’epoca moderna: introdusse il metodo scientifico (la modalità di ricerca che consta dei due momenti distinti di osservazione sperimentale e formulazione di ipotesi e teoria) e fu sostenitore, al pari di Bruno, dell’applicazione delle tecniche matematiche per la spiegazione dei fenomeni fisici. Nel 1633 venne costretto dalla Chiesa cattolica all’abiura delle concezioni astronomiche che aveva sostenuto nel Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo. Solo quest’anno, in occasione del convegno La scienza 400 anni dopo Galileo Galilei. Il valore e la complessità etica della ricerca tecno-scientifica contemporanea, svoltosi in concomitanza con la proclamazione da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2009 come anno internazionale dell’astronomia, la Chiesa ha riabilitato completamente la sua figura definendolo, per bacca del cardinale Tarcisio Bertone, «un uomo di fede che vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio», e ha ammesso le «lacune di uomini di Chiesa legati alla mentalità dell’epoca».

Dal periodo immediatamente successivo sino al 1800, la fisica italiana entrò in un periodo di stallo, appena mosso dagli studi sulla geometria e la matematica degli indivisibili di Bonaventura Cavalieri ed Evangelista Torricelli (a cui si deve anche la scoperta del vuoto torricelliano): i motivi furono molteplici, tra questi la frammentazione fisica e politica del suolo italiano, l’arretratezza tecnologica ed economica in cui versava il Paese, la mancanza di sovrani e signori «illuminati» disposti a finanziare le ricerche, ma anche l’oscurantismo del papato, a cui era invisa ogni scoperta che potesse mettere in discussione i dogmi delle Scritture, divenuto ancora più oppressivo con la Controriforma.

La data che sancisce l’inizio di una nuova era della fisica italiana è il 1839, anno in cui si svolse il primo congresso degli scienziati italiani a Pisa. Figure note del periodo furono Mosotti, Nobili, Matteucci e Volta (l’inventore della pila). Nonostante la nuova unità dei congressi scientifici, il centro nevralgico delle ricerche fisiche europee si assestò nella parte settentrionale del continente: i paesi all’avanguardia erano la ricca Inghilterra, la Germania da poco unificata, la Francia, l’Olanda e i Paesi scandinavi in cui la ricerca di alto livello non aveva mai subito alcun tipo di interruzione. Grandi assenti, oltre all’Italia, la Spagna e il Portogallo che avevano gli stessi problemi politici e culturali.

Il panorama scientifico italiano, dunque, fino all’inizio del XX secolo appariva povero di scoperte interessanti o personaggi di rilievo. La cattedra di fisica dell’Accademia dei Lincei, chiamata addirittura «di fisica sacra», era stata affidata agli inizi dell’Ottocento all’abate Scarpellini e, anche dopo la sua morte, i principi di insegnamento continuarono a seguire l’etica della conciliazione tra i risultati scientifici e i dettami biblici. Solo gli studi matematici (che rappresenteranno la base delle successive speculazioni fisiche) eguagliavano i successi raggiunti nel resto d’Europa.

In questo contesto si delineò la figura isolata del bolognese Guglielmo Marconi, primo italiano insignito a soli 35 anni, nel 1909, del premio Nobel per la Fisica assieme al tedesco Karl Ferdinand Braun. Inventore della comunicazione telegrafica senza fili, fu costretto, dal totale disinteresse dell’Italia nei confronti dei suoi studi a emigrare in Inghilterra dove, nel marzo del 1896, depositò la domanda di brevetto dal titolo Miglioramento nella telegrafia e relativi apparati, seguita da quella definitiva per un sistema di telegrafia senza fili: Perfezionamenti nella trasmissione degli impulsi e dei segnali elettrici e negli apparecchi relativi. Nel 1898 iniziò in Irlanda le sperimentazioni delle trasmissioni senza fili che culminarono il 12 dicembre del 1901, quando trasmise il primo segnale telegrafico transoceanico.

La paternità dell’invenzione della radio, da sempre al centro del dibattito circa la legittimità dell’attribuzione, gli fu tolta nel 1943 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America che la assegnò definitivamente al fisico serbo Nikola Tesla. Anche se la figura di Marconi e le sue scoperte avevano già in parte permesso all’Italia di apparire nuovamente nel panorama della ricerca in campo fisico internazionale, fu il secondo ventennio del novecento a segnare la svolta radicale nella storia dell’evoluzione scientifica italiana. Nonostante il permanere degli irrisolti problemi economici e politici, il Paese fu il teatro delle scoperte di Fermi e del gruppo che si formò intorno alla facoltà di Fisica di Roma, il gruppo di via Panisperna, definitivamente estinto nel 2001 con la morte dell’ultimo dei componenti Franco Rasetti.

I ragazzi di via Panisperna
Il gruppo di via Panisperna, le cui vicende hanno ispirato l’omonimo film di Gianni Amelio, si formò intorno al Regio Istituto Fisico di Roma che aveva sede lì, per volontà dell’allora presidente Orso Maria Corbino, ricercatore fisico e attiva personalità politica del periodo fascista. Consapevole che fosse necessaria, per il rilancio della fisica italiana, una nuova metodologia di studio basata sulla cooperazione di giovani scienziati entusiasti intorno ai temi emergenti della fisica nucleare, offrì a Enrico Fermi la cattedra di fisica teorica, e lo sostenne nella creazione di un gruppo di lavoro eterogeneo di promettenti studiosi motivati. La formazione originaria vedeva la presenza, oltre a quella di Fermi, di Franco Rasetti, Emilio Segrè, premio Nobel per la fisica nel 1959 per gli studi condotti sull’antiprotone, ed Edoardo Amaldi. Successivamente il gruppo fu integrato da altri astri nascenti del panorama italiano, tra cui ricordiamo Bruno Pontecorvo e il teorico matematico Ettore Majorana.

Alla «Scuola romana» va il merito di aver portato avanti innovativi studi sia in campo sperimentale che in campo teorico sul nucleo atomico, i suoi componenti e le forze in esso agenti. Negli anni Trenta il gruppo di Fermi scoprì le proprietà dei neutroni lenti, studi che da una parte permisero allo scienziato di vincere nel 1938 il premio Nobel per la fisica, dall’altra spianarono la strada alla realizzazione del primo reattore nucleare e successivamente della bomba all’idrogeno.

Il rapido decadimento della situazione politica italiana e l’introduzione delle leggi razziali costrinsero i membri del gruppo a emigrare all’estero, specialmente verso gli Stati Uniti che disponevano di laboratori scientifici all’avanguardia. Pontecorvo decise di emigrare in Unione Sovietica dove portò avanti importanti studi sulla fisica delle particelle elementari e sui neutrini, di Majorana invece si persero misteriosamente le tracce nel marzo del 1938. Solo Amaldi tra il 1940 e la fine della guerra non lasciò Roma e assieme agli unici fisici rimasti in Italia sospese gli studi nucleari finalizzati a usi bellici intraprendendo quelli sullo scontro tra particelle subatomiche.
Successivamente, nonostante la proposta di una cattedra all’università di Cambridge, decise di definitivamente di lavorare a fianco dei ricercatori più giovani ponendo così le basi per la riorganizzazione della fisica italiana.

Il dopoguerra
Il periodo immediatamente successivo alla seconda guerra mondiale rappresentò un momento di ricostruzione sia per l’Italia che, come detto, per la fisica italiana. Amaldi, nonostante l’enorme responsabilità che rimanere nel Paese implicava, anche in virtù del confronto oramai necessario con gli attrezzatissimi laboratori fisici americani, accettò l’impegno e agì in maniera concreta. Seguendo le linee guida della Scuola di Fermi, indirizzata verso studi di tipo collaborativo, si applicò scegliendo bene gli obiettivi da finanziare con gli esigui mezzi economici di cui la ricerca scientifica disponeva, nel dichiarato intento di proseguire le ricerche interrotte dopo lo sfaldamento del gruppo di Corbino e permettere all’Italia di diventare un centro all’avanguardia della ricerca in campo fisico nucleare.
L’impegno di Amaldi permise così non solo la fondazione, nel 1951, dell’Istituto Nazionale per la Fisica, di cui fu presidente, ma anche del Centro Europeo per le Ricerche Nucleari di Ginevra, istituto nato nel 1954 dalla collaborazione di 12 paesi europei per la realizzazione di un polo scientifico internazionale in grado di confrontarsi, nell’ottica di un rilancio europeo, con le tecnologie statunitensi.

In quegli anni gli studi italiani ebbero come oggetto la fisica delle particelle e come metodo le sperimentazioni collaborative: nel 1959 venne attivato presso i neonati laboratori nazionali dell’INFN di Frascati (Roma) un elettrosincrotrone da 1100 MeV e, nel 1961, venne costruito ADA, il primo anello di accumulazione che aprì una nuova strada ai dispositivi di accelerazione per lo studio delle particelle subatomiche.

L’INFN
Nato nel 1951 dalla collaborazione delle università di Roma, Milano, Padova e Torino, l’INFN è, come definito sul suo sito ufficiale, «...l’istituto che promuove, coordina ed effettua la ricerca scientifica nel campo della fisica subnucleare, nucleare e astroparticellare, nonché lo sviluppo tecnologico necessario alle attività in tali settori. Opera in stretta connessione con l’Università e nell’ambito della collaborazione e del confronto internazionale [...]». L’Istituto, che attualmente coopera con il CERN (Conseil Européen pour la Recherche Nucléaire) di Ginevra per le ricerche concernenti gli apparati acceleratori, è costituito da diverse sedi operative interagenti dislocate sul territorio nazionale, e da quattro complessi di Laboratori nazionali: quello di Frascati, quello del Gran Sasso, quello di Leganaro (Padova) e quello del Sud.
I laboratori del Gran Sasso, in particolare, rappresentano il sistema di laboratori sotterranei più estesi del mondo e il più importante per lo studio della fisica astroparticellare. Costruiti nel 1982 per volere di Antonino Zichichi (presidente del INFN dal 1977 al 1982, scienziato credente espressosi sul caso galileiano con il libro Galilei, Divin Uomo) sono stati sede del progetto Daphne, il collisore di particelle più potente esistente sino all’accensione, nel settembre 2008, dell’LHC presso i laboratori del CERN. Tra i personaggi di spicco che hanno assunto la nomina di direttore dell’Istituto, ci cono Nicola Cabibbo (tra il 1983 e il 1997) e Luciano Maiani (tra il 1993 e il 1997).

Carlo Rubbia, una delle eccellenze italiane al CERN
Il CERN di Ginevra, chiamato anche Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare,è stato istituito nel 1954 per volontà di 12 paesi europei, tra cui l’Italia, con la chiara missione di permettere la collaborazione tra gli Stati, così come tra gli istituti e ricercatori nell’ambito della ricerca nucleare, con finalità dichiaratamente non belliche.
I suoi laboratori forniscono ai ricercatori le attrezzature (gli acceleratori) per gli esperimenti nel campo delle alte energie, ed è qui che Carlo Rubbia, nel 1960, inizia a occuparsi di ricerche inerenti la fisica delle particelle elementari, promuovendo la modifica dell’esistente acceleratore SPS in un collisionatore protone-antiprotone; con questo, nel 1983 scopre le particelle che sono responsabili dell’interazione debole, cioè i bosoni vettoriali W+, W− e Z. Riesce ad avere anche la conferma dell’unificazione della forza elettromagnetica e della interazione debole nella forza elettrodebole. L’anno successivo riceve, insieme all’olandese Simon van der Meer, il premio Nobel per la fisica grazie a queste scoperte.

La fisica italiana oggi
Nel corso degli anni i fisici italiani che hanno collaborato e che tuttora collaborano all’interno dei gruppi di ricerca di queste strutture, si sono distinti per eccellenti capacità e scoperte innovative, consolidando la tradizione iniziata nel 1920, rinata dopo la seconda guerra mondiale e assestata intorno agli studi sulle alte energie.

Il panorama attuale è costellato di personalità più o meno note che hanno dato lustro al nostro Paese, oltre al già citato Carlo Rubbia, ricordiamo: Nicola Cabibbo, attualmente al centro delle polemiche sorte intorno al mancato conferimento del premio Nobel per la fisica 2008, assegnato invece ai fisici giapponesi Makoto Kobayashi e Toshihide Maskawa per gli studi sui quark, che però sono sorti e sviluppati su teorie precedentemente espresse dal fisico italiano; Raffaele Raul Gatto, onorario di fisica teorica all’università di Ginevra, e Luciano Maiani (presidente del CNR, Consiglio Nazionale delle Ricerche), vincitori del premio Fermi 2003, conferito dalla Società Italiana per la Fisica, per la teoria delle interazioni deboli; Massimo Inguscio, premio Fermi 2004 per i suoi studi «dei condensati atomici di Bose-Einstein, in particolare per la realizzazione di miscele quantistiche degeneri di bosoni e fermioni e per l’invenzione di nuove tecniche sperimentali che gli hanno consentito di ottenere la prima condensazione di Bose-Einstein di atomi di Potassio 4»; l’attuale direttore della Ricerca del CERN, Sergio Bertolucci, già vice presidente dell’INFN e direttore dei laboratori di Frascati; e infine, in un contesto spesso caratterizzato dall’assenza di figure femminili, Margherita Hack, astrofisica di fama internazionale, prima donna a ricoprire il ruolo di direttore di un osservatorio astronomico, professoressa universitaria, fondatrice della rivista «Astronomia», nota divulgatrice scientifica.