Curcio Medie

Saggio di redazione

Il 2008 si è contraddistinto, nell’ambito artistico, per le celebrazioni dei 500 anni dalla nascita di Andrea Palladio, uno tra i più influenti e noti architetti vissuti negli ultimi cinque secoli. La sua fama e l’apprezzamento della sua opera sono sopravvissuti al barocco, al gusto neogotico, finanche al movimento moderno.
Architetto padovano destinato a rimanere una figura d’eccezione nel panorama dell’architettura del XVI secolo, svolse la sua straordinaria carriera sullo sfondo dell’Italia del Rinascimento, traendone un significativo accrescimento professionale.

A curare l’intero evento è stata una specifica organizzazione, il Comitato nazionale per le celebrazioni del quinto centenario della nascita di Andrea Palladio, presieduto da Amalia Sartori. Le celebrazioni in onore del Palladio sono state presentate il 26 febbraio 2008, all’interno del Parlamento europeo di Bruxelles, dalla stessa Sartori insieme con un comitato scientifico costituito da Maryanne Stevens (Royal Academy of Arts di Londra), Irena Murray (Royal Institute of British Architects) e Guido Beltramini (Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio di Vicenza).

Tra le numerose iniziative, alcune si sono messe in luce per la qualità e la peculiarità, come ad esempio il Simposio del cinquecentenario (5-10 maggio 2008), un grande convegno che, nelle sei giornate, si è svolto tra Padova, Vicenza, Verona, Venezia, città intimamente legate alla carriera artistica del Palladio. Vi hanno partecipato 72 studiosi provenienti da tutto il mondo.
In ogni giornata si sono svolte conferenze suddivise in 14 sessioni, ciascuna presieduta da un esperto. Ulteriore avvenimento, ancora una volta legato al territorio vicentino, è stato il festival internazionale Concerti in villa (20 giugno-19 luglio), giunto alla sua XXVII edizione e quest’anno naturalmente dedicato al Palladio, tanto da essere ospitato in alcune delle sue più famose creazioni, come villa Barbaro a Maser, villa Emo a Fanzolo, villa Badoer a Fratta, villa Poiana a Poiana Maggiore. I concerti hanno avuto il compito di far emergere lo stretto legame tra due importanti arti come la musica e l’architettura. Secondo il curatore artistico della rassegna, Massimo Celegato: «Musica e architettura trasformano materiale grezzo in strutture armoniose. Lo fanno partendo da elementi che mischiati danno strati, che elevati con ritmo e movimento costruiscono strutture. Come nell’architettura così nell’arte».

Nel corso del 2008, inoltre, vi sono state diverse emissioni filateliche e numismatiche commemorative non solo a livello nazionale, ma anche dall’estero. In realtà gli eventi internazionali sono stati molteplici, tra cui: una mostra fotografica presso l’Istituto italiano di Lima, nel mese di settembre; Giornate palladiane nelle città di Tokyo e Kyoto il 20-21 ottobre (a cura dell’Istituto di cultura italiano e della Kyoto University of Art) e a New York il 14 novembre (a cura dell’Istituto italiano di cultura e della Columbia University); e ancora una mostra fotografica a Marsiglia presso l’Istituto italiano di cultura, anch’essa nel mese di novembre.
Perno di tutti questi avvenimenti, tuttavia, è stata la grande mostra vicentina Palladio 500 anni.

La grande mostra Palladio 500 anni si è tenuta a Vicenza, all’interno delle 10 sale del piano nobile di palazzo Barbaran da Porto (unica dimora urbana realizzata integralmente da Palladio), dal 20 settembre 2008 al 6 gennaio 2009. I temi proposti nelle varie sale sono stati suddivisi in tre sezioni principali, volte a ripercorrere gli avvenimenti salienti della vita privata e professionale dell’architetto:

1) La carriera di un genio dell’architettura;
2) Nella mente di Palladio;
3) Un eterno contemporaneo.

La prima sezione della mostra è dedicata ad accogliere e condurre per mano lo spettatore all’interno dell’universo palladiano. Per immagini sono fornite informazioni sui personaggi e sulle storie che si intrecciarono con la vita del Palladio.

La prima formazione artistica
Nato a Padova nel 1508, Andrea Palladio inizia la sua attività artistica all’interno di una bottega artigiana, una sorte, quest’ultima, caratteristica della formazione di molti artisti. Svolge la mansione di scalpellino nella bottega di Bartolomeo Cavazza da Sossano, che lascerà nel 1524 per trasferirsi a Vicenza, dove entrerà nella bottega di Pedemuro San Biagio tenuta all’epoca da due scultori allora importanti nella città, Giovanni di Giacomo da Porlezza e Girolamo Pittoni da Lumignano.
All’interno della sala quest’immagine del Palladio scalpellino è ben rappresentata nel dipinto di Leandro Bassano (proveniente dalla National Gallery di Londra), dove compare un giovane lapicida intento a sbozzare un blocco di pietra. Tra il 1535 e il 1538 avviene l’incontro che cambierà radicalmente la sua vita: in questo periodo conosce, infatti, il poeta e umanista Giangiorgio Trissino, che lo prenderà sotto la sua protezione.
La figura di Trissino fu determinante non solo a livello pratico: grazie a lui il giovane Andrea di Pietro della Gondola – questo il suo nome originario – poté ricevere importanti commissioni dai patrizi vicentini, amici dell’umanista, che soprattutto si rivelò fondamentale a livello formativo. Sarà Trissino, infatti, a indurlo allo studio dei classici che poi più volte lo portarono a recarsi, negli anni ’40, nella fervente città di Roma, dove riuscì a conoscere le opere dei grandi del tempo come Michelangelo, Sebastiano Serlio, Giulio Romano, Bramante e dove soprattutto poté ammirare, a cielo aperto, le antichità imperiali che gli rivelarono quel carattere dell’architettura antica e moderna della città fino ad allora conosciuto solo tramite i testi. Nacque da questa attenzione per l’arte classica e la romanità lo stesso nome Palladio che Trissino gli attribuì (mutuato dalla divinità olimpica Pallade), rendendolo unico nella storia dell’arte.

Le ville nel Vicentino
Negli stessi anni ’40, Andrea Palladio inizia la sua vera attività di architetto. I primi progetti per ville e palazzi vicentini sono: villa Pisani a Bagnolo, villa Saraceno a Finale, villa Poiana a Poiana Maggiore. All’interno della mostra è presente una serie di disegni autografi delle prime opere accompagnati dai ritratti dei committenti come Iseppo Porto, in uno dei più bei ritratti di Paolo Veronese (in prestito dagli Uffizi), e dai grandi modelli lignei palladiani.
Le ville del Palladio rispondevano alla necessità di un nuovo tipo di residenza rurale: nei suoi progetti, infatti, egli differenzia quelle che sono le esigenze per un palazzo di città da quelle per una villa di campagna. Per quest’ultima tipologia predilige un edificio non imponente, spesso con un unico piano abitabile, ottima strategia sia per controllare le attività agricole, che si svolgevano tutt’attorno all’abitazione del proprietario, sia per attività di studio e svago. Lo stretto nesso tra le due funzioni è posto frequentemente in risalto dalle ali porticate che collegano l’edificio centrale, generalmente dominato da quella che diventerà la soluzione tipica palladiana, ossia la facciata-tempio con frontoni decorati dalle insegne dei proprietari, volte a sottolineare la loro presenza in un vasto territorio (queste residenze stabilivano quindi una presenza sociale e politica nelle campagne).
La distribuzione degli spazi interni era pensata sia verticalmente sia orizzontalmente. Cucine, dispense e cantine si trovavano al pianterreno; l’ampio spazio sotto il tetto era utilizzato per conservare il grano, che inoltre serviva come isolante per gli ambienti abitabili sottostanti. Al piano principale, posti sull’asse centrale, vi erano le stanze pubbliche, la loggia e il salone, di importanza strategica anche per stupire illustri ospiti con un effetto d’estensione degli spazi, mentre a destra e a sinistra vi erano delle infilate simmetriche di stanze.
Come ha messo in evidenza Rudolf Wittkower, molte delle ville palladiane, dalla villa Pisani a Montagnana (1552-1555) alla villa Almerico-Capra, detta «la Rotonda» (1565-1566), pur nella varietà delle soluzioni e degli impianti planimetrici, sono caratterizzate da un nucleo centrale razionalmente semplice.

I palazzi di Vicenza
Nel 1542-1550 Palladio era anche impegnato nella progettazione di alcuni palazzi di città, tutti vicentini: palazzo Thiene, palazzo Porto e palazzo Chiericati. Di quest’ultimo nella mostra sono stati esposti quattro disegni (provenienti dal Royal Institute of British Architects di Londra e dal Worcester College di Oxford) e anche il libro dei conti della fabbrica stessa, custodito inizialmente dal committente (il libro proviene dai Musei civici di Vicenza). È sicuramente uno dei palazzi più innovativi dell’architetto. In esso è evidente la novità della ricerca, specialmente nella facciata, dove i porticati si pongono in rapporto dinamico con il libero spazio antistante.
Come era avvenuto per le residenze rurali, anche per quelle cittadine Palladio avverte l’esigenza di integrare il palazzo con il tessuto urbano, tanto da creare al piano terra un portico pubblico, ispirato direttamente alle architetture antiche, con poderose colonne a sostegno dei piani superiori. È questo uno dei diversi casi in cui Palladio si cimenta arditamente nel confronto con l’ordine gigante dell’architettura romana di Michelangelo, che lo renderà poi partecipe di quel dibattito inerente alle geniali libertà stilistiche che caratterizzano molte delle opere manieriste.

Nel 1548 il Consiglio dei Cento della città di Vicenza gli affida il rifacimento delle logge del palazzo della Ragione, uno dei palazzi più importanti dell’Italia settentrionale. Anch’esse diventano un significativo emblema della cifra palladiana: con il loro motivo a serliana creano un punto di contiguità tra gli spazi aperti e quelli chiusi permettendo, inoltre, a questi ultimi di trarre maggior luce possibile. La ricostruzione delle logge della basilica (con il termine latino si vuole sottolineare la funzione civile dell’edificio) di Vicenza è un esempio tangibile della supremazia palladiana in campo architettonico. Il lavoro, infatti, gli fu affidato solo dopo aver consultato altrettanti illustri architetti: Serlio, Sansovino, Sanmicheli, Giulio Romano, che tuttavia non riuscirono a ottenere la stessa fiducia accordata invece al Palladio.
Tutti questi importanti lavori per le famiglie più ricche e facoltose di Vicenza accresceranno la fama dell’architetto a tal punto che il suo stile inizia a essere apprezzato anche nella più importante città del territorio: Venezia.

Palladio e Venezia
Gli edifici palladiani della città lagunare sono «presenti» in mostra grazie a una serie di vedute del Canaletto, provenienti dalle Royal Collections di Windsor, dal Manchester Museum e dalla Galleria nazionale di Parma. Si può inoltre ammirare un dipinto di Iacopo Tintoretto, proveniente dagli Uffizi, che ritrae il volto aggrottato del temibile Sansovino, rivale del Palladio proprio nella città marciana.

Le ville nel territorio di Venezia
Per tutti gli anni ’50 Palladio realizza ville per i grandi patrizi della Serenissima e ancora una volta, con attenzione e studio, esegue edifici alla loro altezza: villa Cornaro a Piombino Dese; villa Emo a Fanzolo; villa Barbaro a Maser; villa Foscari detta «la Malcontenta» a Mira; villa Badoer a Fratta Polesine. A differenza delle ville degli anni ’40, questi sono poderosi complessi edilizi che, anche per le loro decorazioni interne affidate ai più illustri artisti del tempo (come Veronese o Zelotti), mostrano tutta la maturità del loro esecutore.
Palladio ha la fortuna di vivere in un periodo di grandi trasformazioni economiche. Sono anni in cui Venezia, in crisi sul mare, pone attenzione ai domini sulla terraferma; è così che le grandi famiglie veneziane pretendono ville in campagna degne del loro rango e le famiglie vicentine richiedono palazzi che attenuino il loro complesso di vivere in una città di più modeste dimensioni.
Con le ville di campagna Palladio ottiene il lasciapassare per poter ricevere commissioni anche all’interno della stessa città. In realtà, l’architetto padovano si fa espressione tangibile di un nuovo modo di intendere la vita e la politica a Venezia: grazie alla sua architettura dalle forme razionali e rigorose diviene la metafora per una città che deve essere riformata nel diritto, nell’organizzazione amministrativa e persino in quella militare.
Nel corso degli anni ’70 il suo impegno in città sarà crescente, tanto da divenire «proto», ossia consulente architettonico della Serenissima.

Le opere a Venezia
Palladio ottiene le prime importanti commissioni veneziane grazie all’intercessione dei potenti fratelli Daniele e Marcantonio Barbaro. Tra i primi progetti va citato il rifacimento della facciata di San Pietro di Castello, opera però mai portata a termine. Segue l’importante intervento complessivo sul monastero benedettino dell’isola di San Giorgio, con la realizzazione del grande refettorio, nonché della chiesa e del chiostro, iniziati nel 1566.
È vicinissima poi la commissione dei canonici lateranensi per la fabbrica del loro convento della Carità, attuale sede delle Gallerie dell’Accademia.

Con questi lavori, Palladio si mette al servizio di entrambe le compagini religiose che detengono in città un grande potere. La sua è una figura così emergente da riuscire a scalzare Iacopo Sansovino nella realizzazione della facciata della chiesa di San Francesco della Vigna. A lui è inoltre affidata la costruzione della chiesa del Redentore dopo la peste del 1576 (l’opera si protrarrà fino al 1592) e il rifacimento di alcune sale di palazzo Ducale. Sia nella chiesa di San Giorgio sia nella chiesa del Redentore Palladio cercò di armonizzare la struttura del tempio antico con quella a navate della chiesa cristiana, problema quest’ultimo con il quale dovettero confrontarsi i più grandi architetti rinascimentali.

La consacrazione di un architetto
La sua fama è talmente cresciuta che nel 1568 Giorgio Vasari lo inserisce nella seconda edizione delle sue Vite, scrivendo: «Non tacerò che a tanta virtù ha congiunta una sì affabile e gentil natura, che lo rende appresso d’ognuno amabilissimo». Dopo questa serie di successi è richiesto in Savoia e a Bologna per la facciata di San Petronio. Realizza ancora diversi palazzi a Vicenza, oltre che la grande loggia del Capitaniato sempre in città. In mostra, tuttavia, vengono anche presentati i progetti che non sono giunti a buon fine.
Una serie di disegni autografi racconta dunque gli insuccessi palladiani, come dimostra il progetto mai realizzato per il ponte di Rialto concepito con struttura «alla romana», al quale sarà preferito quello più tradizionale di Antonio Da Ponte. È presente poi una serie di progetti per case di edilizia minore, sempre per la città di Venezia, provenienti dal RIBA di Londra, per finire con la più avvincente proposta di un palazzo Ducale «palladianizzato», con timpani e colonne che egli stesso presentò subito dopo il devastante incendio del 1577 (disegni provenienti dalla Devonshire Collection di Chatsworth).
L’esposizione della prima sala termina con il grande disegno autografo per la sua ultima grande opera: il teatro Olimpico di Vicenza, iniziato proprio l’anno della sua morte, giunta improvvisamente nell’agosto 1580.
Si può affermare che la sua attività termini proprio con l’opera più complessa e densa di significati: un’opera dietro la cui apparente serenità si cela un’arte difficile e inquieta, in grado di evidenziare la parte più intima del carattere di Andrea Palladio.

La mostra prosegue con la seconda sezione nella quale lo spettatore è indotto a riflettere, dopo aver ampiamente ripercorso i quarant’anni della carriera di Palladio, su come l’architetto ideasse i suoi progetti per poi realizzarli materialmente.
Sono così esposti diversi fogli autografi: dai primi schizzi, eseguiti estemporaneamente; altri con studi più avanzati, sino ai sontuosi fogli di presentazione, anch’essi per la clientela, in cui Palladio coinvolge i suoi amici artisti perché disegnino con destrezza tutti i dettagli e i particolari. Si passa poi al cantiere vero e proprio, ancora una volta grazie a disegni autografi, ma anche a frammenti originali che svelano alcuni segreti del modo di costruire palladiano: sagomare i mattoni per realizzare delle colonne, evitando di usare costosi marmi e monoliti di pietra, ne è un esempio.

Dalla fase del lavoro si compie un ulteriore passo in avanti, andando questa volta a conoscere il Palladio scrittore-comunicatore del suo stesso operato. La sala ci propone il processo di ideazione e scrittura dei suoi testi più importanti: dalle Guide di Roma (1554), ideato e compilato per il dotto prelato veneziano nonché suo protettore Daniele Barbaro, alle edizioni illustrate di Cesare (1575) e di Polibio (1579-1580), di cui in mostra è possibile vedere, grazie al prestito dalla British Library di Londra, il menabò con la correzione delle bozze e il posizionamento delle immagini autografe del Palladio.
E infine i Quattro libri dell’architettura (1570), dei quali possiamo leggere le minute del testo fitto di correzioni e ammirare i disegni in controparte da affidare agli incisori. I Quattro libri dell’architettura rappresentano il testamento architettonico del Palladio: concisi e chiari nel linguaggio, efficaci nel comunicare informazioni complesse, coordinando tavole e testi, rappresentano una delle più preziose pubblicazioni illustrate di architettura. In questo trattato l’architetto espone le formule, le regole e i principi per realizzare i suoi edifici. Straordinari sono soprattutto il II e il III libro, nei quali viene offerta una completa retrospettiva dei disegni di ville, palazzi, edifici pubblici e ponti.
Di approfondimento è invece il IV libro, nel quale Palladio pubblicò le ricostruzioni dei templi romani che aveva studiato più attentamente. Essenziale il proemio al testo, nel quale lo stesso autore scrive: «Fuggirò la lunghezza delle parole [...] mi servirò di quei nomi, che gli artefici hoggidì comunemente usano», trovando dunque nel cantiere, e non nella biblioteca, la fonte del proprio lessico tecnico.

Nelle sale, oltre alla presenza dei volumi originali aperti e custoditi in vetrine, è possibile anche utilizzare sistemi multimediali che consentono di sfogliare i volumi in forma digitale. La sezione conclusiva di questa esposizione presenta due ulteriori opere del Palladio: la grande veduta a volo d’uccello della città di Vicenza del 1580, realizzata come modello per la analoga veduta contenuta nella galleria delle Carte geografiche in Vaticano, e quelli che comunemente sono riconosciuti come vero emblema palladiano: i disegni della villa Almerico Capra («la Rotonda»).

Obiettivo della mostra è quello di far capire quanta parte ebbero Palladio e la sua opera nello scenario artistico e architettonico dai suoi fino ai nostri giorni. A tale scopo seguono i disegni di alcuni architetti che ne hanno raccolto l’eredità: Vincenzo Scamozzi, Inigo Jones, Lord Burlington, Giacomo Quarenghi, Charles Cameron, Thomas Jefferson. Nomi nazionali e internazionali, quindi, per farci comprendere come la sua fama non abbia confini territoriali: basti pensare a tal proposito che sin dal 1716 apparve la prima edizione in inglese dei Quattro libri dell’architettura, testo attraverso il quale l’architettura del Palladio si diffuse dal Nord Europa, prima, al Nord America, dalle ville della Russia per gli zar, al palazzo Reale di Oslo, al palazzo per il Parlamento di Dublino, continuando con la Casa Bianca e i palazzi Georgiani.
Nel 1568 Vasari lo definì «uomo di singolare ingegno e giudizio»: un’opinione che, ancora oggi, rispetta pienamente la natura e l’indole di questo personaggio e ce ne fa percepire l’alto valore.