Curcio Medie

Come molte delle storie che si raccontano ai bambini, anche quella del parco nazionale del Gran Paradiso potrebbe iniziare con «C’era una volta un re...». Quest’area protetta, infatti, vanta come protagonista un personaggio illustre, il re Vittorio Emanuele II. L’ironia della sorte vuole che fu proprio l’irrefrenabile passione per la caccia del sovrano a creare le premesse per l’istituzione del parco nazionale. 
Nel 1856, infatti, il futuro re d’Italia e allora sovrano del Regno di Piemonte, istituì all’interno del territorio dell’attuale parco una Riserva reale di caccia. Per poter al meglio esercitare l’arte della «schioppettata» e disporre della fauna selvatica, il «re cacciatore» fece costruire nuovi sentieri e mulattiere per centinaia di chilometri, appostamenti e rifugi di alta quota, istituendo inoltre un apposito corpo di guardie specializzate.
La creazione della Riserva reale di caccia, se da un lato portò allo sterminio di alcune specie, come l’Avvoltoio degli agnelli, Gypaetus barbatus, e la Lince, Lynx lynx, animali oggetto di una persecuzione indiscriminata in quanto ritenuti (a torto) concorrenti dei cacciatori, dall’altro consentì di tutelare alcune specie minacciate d’estinzione. In particolare, la diminuzione del bracconaggio dovuta al servizio di sorveglianza svolto all’interno della riserva e un programma di abbattimenti limitati ebbero un ruolo determinante nella salvaguardia dello Stambecco delle Alpi, Capra ibex ibex, specie che agli inizi dell’Ottocento stava scomparendo da tutto l’arco alpino. In pochi anni, infatti, all’interno della riserva la popolazione di questo erbivoro crebbe notevolmente, raggiungendo un livello non più preoccupante per la sua sopravvivenza.

 

A partire dal 1821 delle «regie patenti» vietavano in tutto il territorio della Savoia la caccia allo stambecco. Ma solo con la creazione della Riserva reale vennero applicati concretamente quei criteri di gestione della fauna selvatica, in assenza dei quali lo stambecco si sarebbe definitivamente estinto.
Dopo la prima Guerra Mondiale, re Vittorio Emanuele III decise di donare la Riserva reale allo Stato italiano «per il caso che esso credesse di farne un parco nazionale». Quando questo nel 1922 fu istituito con un Regio Decreto, convertito in legge nel 1925, guardie, sentieri e rifugi della riserva divennero personale e strutture del parco. Una decina di anni dopo, grazie alla buona sorveglianza svolta dalle guardie, lo Stambecco era ormai fuori pericolo e divenne così il simbolo dell’area protetta.

L’istituzione del primo parco nazionale italiano
Le valli aostane di Rhêmes, Valsavaranche e Cogne e quelle piemontesi dell’Orco e Soana, separate tra loro da imponenti massicci, costituiscono il cuore del parco nazionale del Gran Paradiso, il primo a essere istituito in Italia. Compreso a cavallo tra Piemonte e Valle d’Aosta, si estende per oltre 700 kmq in una fascia altitudinale che va dagli 800 agli oltre 4000 metri. Per 12 km confina a occidente con il parco nazionale francese, con cui forma un’unica zona protetta di oltre 1300 kmq. Imponenti rilievi montuosi, creste aguzze e frastagliate, ghiacciai e cime innevate, valli e laghi di origine glaciale, torrenti impetuosi e cascate fragorose, boschi alpini e prati fioriti, conferiscono al paesaggio una tipica impronta di alta montagna.
Delle numerose cime che superano i 3000 m, la più alta, quella del Gran Paradiso, raggiunge i 4061 metri. La presenza di 57 ghiacciai ci riporta indietro nel tempo (a circa 13.000 anni fa), quando tutta la fascia alpina era quasi completamente ricoperta da una spessa coltre di ghiaccio. L’azione modellatrice dei ghiacciai ha lasciato un’impronta inconfondibile nell’attuale configurazione del paesaggio: ampie vallate a U, circhi glaciali, cordoni morenici, laghetti alpini e rocce levigate, sono le morfologie più comuni e più caratteristiche di tutto il territorio.
Questo parco montano è il più famoso e il più bello tra quelli europei e si estende per 60.000 ettari sul massiccio del Gran Paradiso. Le complesse e travagliate vicende geologiche che hanno dato origine ai rilievi del parco sono testimoniate dalla prevalente natura metamorfica delle rocce presenti, quali gneiss, micascisti e ofioliti.
Lo gneiss occhiadino, varietà così chiamata per la presenza di grossi cristalli chiari («occhi») che spiccano su una base più scura, è la roccia di gran lunga più diffusa. Particolarmente dura e resistente, costituisce l’ossatura dei principali massicci, compreso quello del Gran Paradiso. L’altitudine media elevata consente lo sviluppo di una vegetazione tipicamente alpina. La copertura forestale è costituita prevalentemente da boschi di Larice, Larix decidua, con Abete rosso, Abies picea, e in misura minore Abete bianco, Abies alba. Il Pino cembro, Pinus cembra, compare nelle zone più elevate con le specie precedenti.

Il giardino di Paradisia
Al di sopra del limite della vegetazione forestale, posto a seconda dell’esposizione tra i 1850 e i 2300 metri, si estendono gli alti pascoli alpini, con associazioni vegetali caratteristiche che offrono spettacolari e colorate fioriture estive. Per l’importanza e la rarità di alcune specie floreali, in Valnontey è stato realizzato uno dei giardini botanici alpini più famosi nel mondo: il giardino di Paradisia, così chiamato in onore di un fiore particolarmente raro, che è appunto il Giglio di monte, Paradisia liliastrum.

Anche la fauna è tipicamente alpina. Tra i grandi mammiferi, oltre alla presenza di circa 4000 stambecchi, numerosi sono i Camosci, Rupicapra rupicapra, la cui popolazione assomma a circa 7000 capi. Facile da vedere è la Marmotta, Marmota marmota, presente tra i 1500 e i 3000 metri. Tra i piccoli mammiferi, comuni sono la Lepre alpina, Lepus timidus, l’Ermellino, Mustela erminea, e l’Arvicola delle nevi, Microtus nivalis.
Gli uccelli sono rappresentati da numerose specie tipiche dell’ambiente montano, tra cui l’Aquila reale, Aquila chrysaëtos, la Pernice bianca, Lagopus mutus, e la Coturnice, Alectoris graeca