Curcio Medie

Nella parte centrosettentrionale della Birmania, in una delle più fertili valli fluviali dell’Asia sudorientale, quella dell’Irrawaddy, fu istituita nel 1913 una riserva divenuta poi, nel 1938, un Santuario naturale. Sulla base delle leggi emanate dal Burma Game Rules nel 1927, l’amministrazione di quest’area è affidata al Dipartimento Foreste del Ministero dell’Agricoltura. Anche se il livello generale di protezione delle aree di interesse naturalistico della Birmania è piuttosto scadente, il territorio del Santuario gode di uno stato di conservazione migliore rispetto ad altre zone tutelate, perché i controlli sono più costanti e severi.



Un’oasi verde con manghi e bambù
Pidaung occupa una superficie di 72.500 ettari e comprende zone di altitudine variabile tra gli 800 e i 2200 m. I terreni collinari sono ricoperti da una fitta giungla sempreverde in cui sono dominanti specie del genere Ficus. La foresta tropicale che in questa come in altre aree della Birmania si sviluppa a quote elevate, dove le precipitazioni annue superano i 2000 mm, è particolarmente ricca di piante di mango e ospita numerosissime specie vegetali, tra cui prevalgono bambù, palme e piante resinose. Pur essendo la piovosità piuttosto elevata in questa come in altre zone della Birmania, l’influenza dei monsoni determina l’avvicendamento di tre stagioni: un periodo secco e fresco, dalla fine di ottobre alla fine di febbraio, uno caldo e asciutto, da marzo alla fine di maggio, e infine il periodo delle piogge, da giugno a ottobre. Queste condizioni consentono lo sviluppo di foreste meno fitte, o foreste chiare, in cui molti alberi perdono le foglie durante un periodo dell’anno. Queste foreste sono cosparse di radure con un ricco sottobosco e offrono a numerosi animali, soprattutto i grandi Mammiferi erbivori, un tappeto di graminacee e altre piante erbacee. Tra i Bovidi nel territorio del Santuario vivono ancora il Banteng, Bos javanicus, e il Bufalo indiano, Bubalus bubalis. Anche se frequentano spazi aperti i Banteng, animali che si nutrono di ramoscelli, foglie, erbe e germogli di bambù, dipendono dalle aree di vegetazione più densa e sono numericamente ridotti, allo stato selvatico, in gran parte dell’antico areale a causa della caccia e del disboscamento. Anche le popolazioni selvatiche dei bufali, addomesticati e importati sia in Europa che in America, si sono estinte in vaste zone in cui erano una volta ampiamente diffuse sia per effetto dell’attività venatoria, che per la competizione con i bovini domestici e le malattie da essi contratte e, soprattutto, per la scomparsa delle aree paludose sottoposte a opere di bonifica.
I Bufali indiani sono infatti legati alle zone paludose e umide dove trascorrono la maggior parte del tempo immersi nell’acqua a nutrirsi di erbe.
Impiastricciati di fango, riescono a difendersi dagli insetti, mentre la vita di gruppo costituisce un’adeguata difesa contro i loro più temibili predatori: le Tigri, Panthera tigris. Questi grandi Felidi temuti dall’uomo per i pericolosi agguati, pur essendo una volta distribuiti in Asia su un’area molto vasta, sono attualmente ridotti a poche popolazioni isolate: la frammentazione dell’areale e il declino numerico sono stati in larga parte una conseguenza della caccia accanita condotta dall’uomo sia per la difesa del bestiame, che per lo sfruttamento delle pelli o al solo scopo di poter vantare stupidi trofei. Le Tigri cacciano durante le ore notturne e conducono vita solitaria, tranne per il breve periodo degli amori. Anche i Leopardi, Panthera pardus fusca, pattugliano il territorio in cerca di prede durante la notte: piccoli cervi, scimmie, cinghiali e animali domestici in prossimità dei villaggi. Per questi predatori maggiormente adattabili, le persecuzioni subite per secoli hanno determinato una riduzione numerica delle popolazioni, l’estinzione in molte zone e una frammentazione dell’areale.

I grandi mangiatori d’erba
I maschi dei Muntjak, Muntiacus muntjak, piccoli Cervidi denominati anche «Cervi abbaianti» per i caratteristici versi simili a quelli di un cane, sono dotati di corna semplici e brevi e si difendono dai predatori utilizzando come arma di difesa i denti canini superiori, molto sviluppati e sporgenti dalla mascella. Questi cervi si nutrono di erbe, foglie e frutti, sono attivi soprattutto al crepuscolo e nelle ore notturne e sono per lo più solitari.

Oltre ai Muntjak, a Pidaung vivono anche i Sambar dell’India, Cervus unicolor, e i Cervi porcini, Axis porcinus.
I Sambar hanno dimensioni notevoli e corna imponenti presenti solo nei maschi, prediligono le zone di foresta più fitta e trovano spesso rifugio nell’acqua dove nuotano con particolare abilità.
Anche i piccoli Cervi porcini amano le rive dei fiumi e le zone paludose, dove trovano erbe alte, sono spesso diurni e a volte si associano in piccoli branchi.
Tra i grandi mangiatori di sostanze vegetali della foresta, nel Santuario vivono anche l’Orso malese, Helarctos malayanus, ottimo arrampicatore che passa gran parte del tempo sugli alberi dove costruisce una specie di nido con rami e fogliame e l’Elefante indiano, Elephas maximus, che con la lunga proboscide strappa sia erbe, foglie e frutti che parti legnose di cui si nutre.
Spietatamente cacciato per l’avorio, questo pachiderma da vari secoli viene addomesticato dall’uomo che lo utilizza come animale da soma per il lavoro in foresta. La presenza umana all’interno del Santuario di Pidaung del resto si fa sentire: sei villaggi sorgono lungo i suoi confini e ai loro abitanti vengono riconosciuti alcuni diritti di uso del territorio. Ai locali sono consentiti sia la raccolta di frutti e fiori che la pesca nei corsi d’acqua e il taglio del legno. Un’attività quest’ultima che, praticata illegalmente, ha causato il deterioramento di preziose aree di foresta nella storia più recente della Birmania.