Curcio Medie

Il termine «umanesimo» definisce di solito un periodo letterario (v. letteratura), artistico (v. arte) e più in generale culturale compreso, con una certa elasticità, tra la seconda metà del XIV secolo e l’epoca che vede il suo culmine, il XV.

Già nello scorcio del Trecento i restauratori pazienti della cultura classica definivano il complesso della loro amorosa attività con l’espressione ciceroniana (v. Cicerone) di studia humanitatis.
Nel rinascimento, di cui l’umanesimo è l’aspetto più particolarmente filologico, questi studia humanitatis non implicano soltanto un’attenta indagine del mondo antico sui testi appena acquisiti o su quelli persistentemente letti nel medioevo, ma anche una chiarificazione, un’analisi, una sintesi e uno sviluppo delle forze spirituali che il medioevo stesso celava sotto la sua dura scorza, una consapevolezza dell’esigenza di risalire, senza diaframmi, alle fonti della tradizione classica, offuscata anche se non ignorata dall’età di mezzo, con una finalità più profonda e diversa che non fosse la pura istanza dell’erudizione; come quella che intuiva le sostanziali analogie tra la rinnovata fiducia nei valori dell’uomo e la serena spontaneità con cui il mondo classico aveva idealizzato la vita dell’uomo terreno. D
ai grandi spiriti e dai testi greci e latini che la ricerca erudita va rivelando e riportando alla luce dal chiuso dei chiostri, la fede nei valori della vita e della storia trae corroborante conforto, senza che questo risultato conduca necessariamente al ritorno integrale del pensiero antico: al contrario, la fedeltà degli umanisti al cristianesimo comprova che la religione tradizionale non contrasta con le esigenze dei tempi nuovi e conferma che le forze del rinascimento derivano la loro più vitale energia dall’alta concezione spirituale che il cristianesimo aveva promosso con il conferire un valore inestimabile, mai prima d’allora avvertito, alla persona umana, sottratta alla schiavitù materiale e morale imposta dal costume pagano. Si è detto che il medioevo non aveva ignorato particolari interessi classicisti: ed è sufficiente accennare soltanto ai momenti più fervidi di questa ininterrotta tradizione ricordando, per accertarsene, il rinascimento carolingio, nell’VIII secolo, che accentra intorno alla figura di Carlo Magno un nucleo di fervidi interessi con ramificazioni vitali, sempre in terra di Francia, nei secoli XI e XII; e così a Padova Lovato de’ Lovati e Albertino Mussato vivificano nel XIII-XIV secolo una tradizione mai spenta in alta Italia. La cultura classica, dunque, non è ritorno o novità, ma continuazione, più rilevante in profondità e diffusione, di un processo costantemente presente, le cui conclusioni la critica definisce preumanistiche; ed è soltanto un carattere esterno, più appariscente che sostanziale in ordine alla continuità di un interesse per la cultura classica, per i suoi testi, per la sua sapienza e per il suo magistero, che contrassegna alla metà del Trecento il passaggio dal preumanesimo all’umanesimo: la ricerca dei codici perduti, allo scopo di integrare ciò che dell’antichità non si conosce o si conosce solo parzialmente. Petrarca è tra i primi in quest’opera di recupero, di interpretazione, di illustrazione, indirizzata per ovvie ragioni più alla latinità che alla grecità perduta, con l’intento di un recupero linguistico, quello del latino, che i secoli dal II d.C. in poi hanno vitalmente imbarbarito e ora si desidera ricondotto, sia pure artificiosamente, alla primitiva purezza («ciceronianismo»): posizione antistorica, ma ricca di fermenti vitali per uno studio comparato dell’evoluzione linguistica anche se negativamente considerata.
I generi letterari degli antichi, dopo le diligenti fatiche di recupero dei primi studiosi (Petrarca stesso, che ritrovò due orazioni e le Epistulae ad Atticum di Cicerone; Boccaccio, che scoprì o illustrò in tutto o in parte l’opera di Varrone, Marziale, Apuleio, Seneca e Tacito; Coluccio Salutati; Leonardo Bruni, Poggio Bracciolini; Flavio Biondo e numerosi altri), vengono assunti come modelli indiscutibili per un’imitazione il cui pregio maggiore sia la fedeltà al loro ideale di bellezza espressiva, in una gara ricorrente e insoddisfatta.
Il pensiero degli antichi viene interpretato ai fini di una conciliazione tra cristianesimo e platonismo (v. Platone) attraverso procedimenti di cui Petrarca aveva dato l’esempio; le scoperte dei codici e dei palinsesti si succedono con una frequenza intensissima mai più riscontrata nelle età successive: così che si può affermare che l’attuale conoscenza dei teatri della letteratura latina non sia di molto superiore a quella corrente nel Quattrocento. Accanto alla passione per le lettere latine e parallelamente a essa, procede la riscoperta del patrimonio della cultura greca, che ha inizio con le prime versioni in latino dei poemi omerici (v. Omero e Iliade e Odissea) (Leonzio Pilato).
Intanto gli umanisti, conclusasi la prima fase dell’affannosa ricerca dei codici, affinano tecnicamente la loro efficacia espressiva: si crea una grammatica umanistica e con essa una stilistica. Per opera di Valla (Elegantiae latinae linguae, 1435-1444), a cui si attengono i commenti, le chiose, le comunicazioni erudite tra umanista e umanista; e si avviano in larga scala gli apporti di quella filologia umanistica a cui Petrarca aveva dato inizio nell’intento di emendare, interpretare e commentare anche i testi la cui conoscenza non era mai venuta meno, accanto a quelli da poco acquisiti. Qui sta la più importante caratteristica dell’umanesimo; in una lettura critica dei testi con la loro illustrazione linguistica, storica, grammaticale con cui ritrovare nell’antichità classica l’eterna bellezza e l’affermazione sovrana dell’uomo.