Curcio Medie

Termine che designa le condizioni sociali di individui privati di capacità giuridica (v. diritto) e di conseguenza considerati proprietà del loro padrone. Gli antichi greci e romani, avendo la massima ignoranza dell’idea di fratellanza o di dignità della persona umana, praticarono largamente la schiavitù, istituto già caratteristico delle culture primitive. In Grecia, tuttavia, la schiavitù non aveva mancato di attirare, di quando in quando, la pensosa considerazione di taluni spiriti illuminati o sensibili agli aspetti più gravi del fenomeno.
Ma c’era stato anche chi, come Aristotele, aveva teorizzato la schiavitù come un fatto di natura, sicché nel mondo classico il comune sentimento morale non fu, in generale, turbato dalla presenza degli schiavi.
Presso i greci lo schiavo fu inizialmente il nemico catturato in guerra, che poteva essere non solo un barbaro, ma anche un greco; e in schiavitù si cadeva per tanti altri motivi (per esempio, l’insolvenza), quando addirittura non si era schiavi per nascita perché figli di schiavi o nati da unioni «miste» fra liberi e schiavi.
L’inserimento degli schiavi nel ciclo delle attività economiche (v. economia) si ebbe specialmente nei centri a più sviluppato livello commerciale, come Atene e Corinto; minor rilievo ebbe invece l’impiego della manodopera servile nella lavorazione della terra, che in genere fu praticata da un ceto agricolo (v. agricoltura) libero, ma nondimeno afflitto dall’indigenza. Un certo numero di schiavi viveva invece in città nella casa padronale, dove svolgeva mansioni meno umili, come quelle di contabile o di segretario. Del resto nel mondo classico, dove in linea di massima il ceto dirigente era espressione della classe dei proprietari terrieri, molte professioni vennero considerate indegne dell’uomo libero, sicché schiavi furono in genere gli architetti, gli ingegneri, i medici, gli insegnanti, nonché il personale esecutivo degli uffici pubblici. In seguito la condizione degli schiavi migliorò, e comunque essa fu sempre sorretta dalla speranza di ottenere la liberazione o per un atto di benevolenza del padrone o anche perché lo schiavo riusciva a raggiungere la somma necessaria per pagarsi il prezzo del riscatto.

A Roma l’evoluzione della schiavitù fu pressoché analoga, salvo le diverse proporzioni del fenomeno. Infatti, soprattutto per effetto delle grandi guerre di conquista intraprese nel II secolo a.C., nei paesi del mondo greco-orientale, a Roma e in Italia affluirono migliaia di schiavi: terminate quelle guerre, altri schiavi furono acquistati sui grandi mercati, come quello di Delo, e importati.
Queste masse di schiavi vennero soprattutto impiegate nei latifondi, mentre gli individui più fortunati o più dotati trovavano i più svariati impieghi nella città: nella casa del padrone o nella sua azienda, come esercenti un’attività in proprio o come dipendenti di pubblici uffici. La particolare struttura politica del mondo romano fece sì che parecchi schiavi acquistassero importanza crescente, soprattutto gli schiavi degli imperatori (v. Impero romano), taluni dei quali diventarono ministri occulti e onnipotenti dei loro voleri.

Pratica ormai fissata da lunghissima consuetudine, la schiavitù nel senso in cui la si era intesa in età classica subì una contrazione considerevole sotto il crescente influsso delle dottrine morali del cristianesimo e dello stoicismo e delle loro istanze egualitarie. La flessione però rimase sostanzialmente legata al campo morale, in quanto la schiavitù restò in vigore come istituto sociale ed economico, essendone riconosciuto il valore e l’utilità nell’ambito di quelle determinate strutture. In più, sempre sotto la spinta delle idee cristiano-cattoliche, nel medioevo non si ammetteva di rendere schiavi i prigionieri di guerra di fede cattolica (v. cristianesimo) e la schiavitù era riservata ai prigionieri infedeli o scismatici (v. scisma). L’afflusso delle genti germaniche (v. germani) nell’età delle invasioni (v. invasioni barbariche) non apportò sostanziali novità, in quanto i barbari conoscevano l’istituto della schiavitù in forme anche più rozze e brutali che non i romani, e dall’incontro con la civiltà romana e cristiana la condizione dello schiavo germanico uscì umanizzata.

Nel periodo altomedievale si trovavano molti schiavi nelle grandi proprietà fondiarie, anche se le opere di coltivazione e dei vari cicli agricoli erano svolte dai componenti delle famiglie a insediamento stabile sui poderi: essi erano per lo più servi personali del padrone (servi dominici), talvolta adibiti anche a lavori artigianali.
Tra i servi dominici avevano una posizione più elevata i servi ministeriales, addetti alle opere sussidiarie con cui si provvedeva ai bisogni, di vario genere, di tutta la comunità che viveva nella proprietà. Un’altra categoria era costituita dai servi rustici, senza compiti specifici e disponibili per qualunque lavoro, riuniti in abitazioni comuni e forniti di cibo e vesti dal dominus. La provenienza degli schiavi era assai varia, ma per lo più essi venivano acquistati: dal IX secolo prosperò un attivissimo mercato alimentato da un imponente commercio assai lucrativo. Tra i più attivi in tale impresa economica furono gli ebrei e i veneziani.

Nel generale capovolgimento dei tradizionali modi di vita che si attuò intorno al Mille, anche la funzione economico-sociale degli schiavi tramontò con il sopravvenire di nuove risposte alle antiche esigenze: gli schiavi venivano ora utilizzati solo come guardie del corpo o per servizi domestici presso i sovrani o i grandi signori. In tal senso, considerato pure il motivo di prestigio che derivava dal possederne molti, il commercio acquistò nuovo impulso e batté nuove strade e nuovi centri di rifornimento sulle coste dell’Africa e più tardi dell’Asia: in questa seconda fase i turchi furono formidabili incettatori di schiavi, spesso prigionieri di guerra, che essi rivendevano agli occidentali, che li prelevavano sulle coste del Mar Nero oppure se ne rifornivano direttamente ai porti di Barberia.
Con i portoghesi, il prelievo degli schiavi fu direttamente effettuato in loco: la corrente di traffico si dirigeva via mare dalle coste dell’Africa a Lisbona, dove aveva luogo lo smistamento generale.

La scoperta del Nuovo Mondo e lo sfruttamento delle sue immense risorse aprirono una nuova epoca nella storia della schiavitù, che aumentò la sua già grande importanza economica. Per i lavori nelle miniere e nelle piantagioni dell’America centro-meridionale si utilizzarono dapprima gli indigeni, razziati in lunghe spedizioni che percorrevano intere regioni (famose quelle organizzate dagli abitanti dello stato di San Paolo nelle terre dei gesuiti del Paraguay).