Curcio Medie

La storia di Israele e Palestina è quella di due popoli in conflitto tra loro da molti anni, un conflitto che infuoca l’intera area del Medio Oriente e che ha per oggetto la Palestina come zona territoriale contesa: popolata per secoli dagli arabi, vedrà crescere il numero di colonie ebraiche insediate a partire dalla fine del XIX secolo, e soprattutto dai primi del Novecento.
Con la fine della seconda guerra mondiale e con la tragedia dell’Olocausto la maggioranza ebraica nella regione viene ulteriormente rafforzata, rendendo sempre più instabili gli equilibri all’interno delle due società civili. Nel 1917 la Palestina, che era sotto il controllo dell’amministrazione inglese con il Mandato britannico, diviene oggetto delle disposizioni della cosiddetta Dichiarazione Balfour (dal nome dell’allora Ministro degli esteri inglese Arthur Balfour) che concede ai sionisti (ebrei che rivendicano la creazione di uno stato ebraico in terra di Israele) di creare un «focolare nazionale» in territorio palestinese: i sionisti si sarebbero dovuti insediare senza danneggiare i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche locali.
Contro queste disposizioni gli arabi avviano una serie di proteste violente, vedendosi togliere la terra e i diritti da sempre esercitati in Palestina. Gli scontri tra i due popoli si susseguono per anni, fino a che, dopo la seconda guerra mondiale, la Gran Bretagna decide di affidare la risoluzione della questione all’Onu.

Nel dopoguerra la delicata questione dei rifugiati ebrei europei scampati alla persecuzione nazista (v. nazifascismo), che rivendicano il diritto di costituire un proprio stato, rende difficile stabilire dei termini solidi per una possibile soluzione pacifica. L’Onu emanerà una risoluzione il 25 novembre 1947 (risoluzione 181), con la quale si sancisce la spartizione territoriale della Palestina in uno stato palestinese, uno ebraico e in una terza zona, comprendente la capitale Gerusalemme, sotto la diretta amministrazione dell’Onu.
Le reazioni a tale risoluzione sono negative: i sionisti più convinti non vogliono spartire lo stato, così come gli arabi più integralisti. Tra il 14 e il 15 maggio del 1948 David Ben Gurion, capo del movimento sionista, proclama la nascita dello stato ebraico in terra d’Israele. Da quella data numerose guerre hanno coinvolto anche i paesi arabi vicini, sostenitori della causa palestinese e fautori di un movimento panarabo che vede in Israele un nemico, l’avamposto dell’Occidente in terra orientale. Rilevanti sono soprattutto la guerra dei Sei giorni, del 1967, e la guerra dello Yom Kippur del 1973: due conflitti da cui Israele uscirà vittorioso; d’altra parte nuove risoluzioni Onu saranno sancite al termine di entrambe le guerre per contenere il potere israeliano.
Dopo il 1967, la risoluzione 242 dell’Onu richiede il ritiro di Israele dai territori occupati in cambio del riconoscimento dello stato ebraico da parte araba; dopo il 1973 viene riconfermata la validità della precedente risoluzione, e la necessità di metterla in pratica. Nel frattempo, nel 1964, è nata un’organizzazione che si qualificherà come unico rappresentante internazionale del popolo palestinese, l’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina). Alla guida di tale organizzazione si pone Yasser Arafat, principale protagonista dei successivi tentativi di accordo per la pace con Israele. Tra i più importanti negoziati ci sono quelli del 1993 e del 1995, che conducono alla firma a Washington di un documento d’intesa tra Arafat e Rabin (primo ministro di Israele, assassinato nel 1995 da un fanatico ebreo di estrema destra), con la supervisione dell’allora presidente statunitense Bill Clinton.

Il documento stabilisce che Israele concederà una parte della terra occupata in cambio del proprio riconoscimento e della fine di ogni violenza. Successivi accordi, dal 2000 in poi, impegnano Israele a fermare la politica degli insediamenti in territorio palestinese e a concedere la formazione di uno stato palestinese autonomo. Questi accordi, nei fatti, non sono mai stati concretizzati: la violenza degli scontri non è cessata, alimentata dai fondamentalisti di entrambe le parti; gli insediamenti israeliani inoltre continuano a crescere, rendendo difficile una spartizione territoriale bilanciata tra i due popoli.

Con il presidente statunitense Barack Obama si tentano nuovi approcci di dialogo tra le due parti, allo scopo di porre fine al conflitto.