Curcio Medie

Generale romano, triumviro, dittatore (Roma, 100 o 102 a.C. - 44 a.C.)

Della famiglia patrizia (v. patrizi e plebei) dei Giuli, nipote di Caio Mario e genero di Cinna, fu esiliato da Silla; partecipò alla campagna contro i pirati del 78 e poi, tornato a Roma dopo la morte di Silla, si mise in luce come grande oratore forense in processi politici.
Partecipò poi alla terza guerra mitridatica e, di nuovo a Roma, si avvicinò a Pompeo e Crasso (di Pompeo sposò la sorella) e con essi contribuì allo smantellamento della costituzione sillana. Fin da allora teneva un atteggiamento difficilmente definibile poiché, patrizio egli stesso, riusciva a restare distaccato dai destini della nobiltà romana, attento all’evolversi del mito democratico (v. democrazia), dimostrandosi politico abilissimo e paziente. Questore in Spagna nel 70, edile nel 65, pontefice massimo nel 63, sembrò compromesso in quest’anno nella congiura di Catilina, ma in realtà riuscì a trovarsene fuori con somma abilità, senza rinunciare a far sentire, in senato, la propria voce a difesa del diritto dei congiurati a essere giudicati dal popolo.
Pretore nel 62, nel 61 in Spagna, qui riuscì ad arricchirsi senza molti scrupoli. A Roma divenne ormai una figura di primissimo ordine, anche se era sempre Pompeo l’uomo cui si guardava come il primo cittadino. Con Pompeo e Crasso si accordò nel 60 privatamente, nel cosiddetto primo triumvirato (per distinguerlo dal secondo, di Antonio, Lepido e Ottaviano: ma in realtà quello di Cesare, Pompeo e Crasso non fu una magistratura legalmente riconosciuta, ma solo un accordo politico-elettorale).
Eletto console per il 59, come tale fece votare una legge agraria operando una larga distribuzione di terre. Ottenne poi il comando militare della Cisalpina e dell’Illirico, poi anche della Transalpina. Assunto nel 58 questo comando, con successive campagne, culminate nel 52 con la repressione ardua e sanguinosa della grande rivolta capeggiata da Vercingetorige, sottomise la Gallia. L’uomo politico si rivelò così un generale di tale genialità, preparazione tecnica, ascendente morale sulle truppe, da oscurare quasi la fama di Pompeo e da ricordare l’esempio di Alessandro Magno. Morto Crasso nel 53 a Carre contro i parti, mentre Pompeo dominava di fatto Roma, in un contrasto con i nobili repubblicani che restava sempre nell’ambiguità di un possibile accordo, Cesare vide ormai in pericolo la propria posizione politica. Dopo una crisi che ebbe a pretesto un dissenso circa la possibilità o meno di Cesare di presentarsi nel 49 al consolato, per il 48 restando assente e forte dell’Imperium della Gallia, si venne alla rottura. Pompeo, nonostante le affinità con Cesare, scelse alla fine di farsi paladino della causa dei nobili e condusse Cesare a scegliere tra la resa senza condizioni o la guerra civile. Scelta la guerra, Cesare (gennaio 49) passò il Rubicone (il fiume romagnolo che segnava il confine settentrionale con la Gallia Cisalpina) e prese Roma, mentre Pompeo, con gran parte del senato, partiva per l’Oriente. Passò poi in Spagna e qui sconfisse grandi forze pompeiane; tornato in Italia e passato nell’inverno in Illiria, riuscì qui a entrare (inverno 49-48) in contatto con Pompeo, nell’assedio di Durazzo, che però sembrò volgere alla fine a netto svantaggio di Cesare stesso.
Nonostante ciò, nel giugno 48 a Farsalo batteva Pompeo che, profugo, fu poi ucciso in Egitto. La lunga guerra civile, complicata dalla guerra alessandrina che vide in grave pericolo Cesare stesso ad Alessandria (48-47) e dalla rapidissima (5 giorni) campagna contro Farnace re del Bosforo, continuò negli anni successivi, in Africa, contro Catone e altri repubblicani e pompeiani (Tapso, 46), e in Spagna, dove nel 45 a Munda Cesare ottenne la vittoria decisiva sui figli di Pompeo. Ben poco Cesare poté dedicare del tempo suo, rimasto ora libero dalle guerre civili, all’opera di instaurazione di un nuovo regime, che già aveva ampiamente profilato, e che ora affrettava, mentre preparava una grande spedizione contro i parti e poi i germani.
Fu ucciso in senato il 15 marzo 44 a.C. da un gruppo di congiurati repubblicani, tra i quali Cassio e Marco Bruto. Dopo Farsalo, aveva avuto la dittatura a tempo indeterminato, il consolato per cinque anni, la potestà tribunizia a vita, per tre anni ebbe la Praefectura morum, poi fu proclamato imperator a vita. Di Cesare restano anche varie opere letterarie. Nella prima gioventù scrisse il poema Laudes Herculis, la tragedia Oedipus e iniziò una raccolta di detti. S’impose nel 79 come oratore.
Molto letto fu un suo trattato grammaticale in due libri dedicato a Cicerone, il De analogia (54). Scrisse un Anticato, in due libri, contro i lodatori di Catone Uticense, e un poemetto, Iter (46), con la descrizione di un viaggio da Roma a Munda. Fu autore inoltre di un libro di astronomia, di orazioni e lettere. Ci restano purtroppo soltanto i Commentari: i sette libri De bello gallico (scritti nell’inverno 52‑51) e i tre De bello civili (scritti dopo Munda). Si tratta di memoriali che difendevano l’operato dell’autore dalle molte e gravi accuse degli avversari politici. I fatti sono non di rado alterati: sicché i Commentari non sono un’esposizione imparziale e completa dell’operato di Cesare. Innegabile è però il loro valore, essendo documenti fondamentali per la storia di Germania, Francia, Inghilterra.
Lo stile di Cesare, che scrive in terza persona, è rapido, denso, chiaro. L’autore dimostra acuta conoscenza dell’animo umano, interesse per gli usi e i costumi delle genti con le quali viene a contatto (galli, britanni, germani), gusto per la descrizione (la Selva Ercinia, il faro di Alessandria).