Curcio Medie

Strumento tipico dell’agricoltura di tutti i tempi, l’aratro ha origini antichissime che si confondono nella preistoria; la sua evoluzione ha accompagnato quella della civiltà. Secondo le raffigurazioni e le descrizioni a noi pervenute, l’aratro primitivo era costituito da un grosso ramo biforcuto, destinato a modificare la struttura del terreno per renderlo idoneo ad accogliere il seme e creare le premesse necessarie per lo sviluppo delle piante. Forme e materiali, impiegati con il succedersi del tempo nella costruzione dell’aratro, risentono della scoperta dei metalli e delle conoscenze, sia pure empiriche, sulla resistenza dei materiali. Ancor oggi, in talune regioni a basso livello di civiltà, vengono adoperati aratri non dissimili, nella forma, dai primitivi aratri in legno. Alla prima metà del XVIII secolo risalgono i primi studi e le ricerche volte a perfezionare questo strumento fondamentale per il proficuo esercizio dell’arte di coltivare i campi.

Numerosissimi sono i tipi di aratri moderni esistenti, tanto che risulta difficile stabilire una classificazione generale che, senza tema di errori, li comprenda tutti. Le differenze riguardano soprattutto il telaio, i sistemi di collegamento al mezzo di trazione e i vari sistemi di regolazione. Schematicamente un aratro è costituito da: organi di sostegno e collegamento, organi di regolazione, organi operatori. A questi ultimi è affidata l’esecuzione della lavorazione, secondo uno schema tecnologico ormai consolidato: sono il coltro, il vomere, il versoio. Con il crescente impiego delle trattrici agricole, la maggior parte degli aratri è costruita per la trazione meccanica; a seconda delle modalità di collegamento alla trattrice si hanno aratri trainati, semiportati, portati. Il peso può variare da qualche quintale fino a 50 o 60 quintali per i grandi aratri da scasso. La forza necessaria alla trazione può raggiungere e superare, nei lavori di scasso profondo, i 10.000 kg.