Curcio Medie

«Dietro Eduardo, dietro Totò sta in agguato la maschera di Pulcinella che in un crescendo wagneriano fa sue le parole di Macbeth: “La vita è una favola senza senso raccontata da un idiota”. E sullo schermo bianco si stampa l’impronta scheletrica di due mani, l’ultimo sforzo dell’attore di rompere quella barriera per proiettarsi oltre, verso la platea».
Così Gianni Manzella ricorda, nel suo La bellezza amara (1993), l’emozionante rivisitazione operata da Leo de Berardinis di The Connection (1983), storica pièce di Jack Gelber resa celebre dal Living Theatre.


All’epoca l’artista campano aveva quarant’anni e aveva già scritto una pagina importante del teatro d’avanguardia italiano con gli spettacoli del Teatro di Marigliano realizzati insieme a Perla Peragallo: in quella serie di rappresentazioni, che vanno da La faticosa messinscena dell’Amleto di Shakespeare del 1967 ad Avita a murì del 1978, c’erano già molti degli elementi che avrebbero caratterizzato il futuro percorso di de Berardinis: il gusto per l’improvvisazione, lo studio dei testi classici usati come spunto per la messa in scena dei diversi aspetti del tragico, l’amore per la rivista, per la sceneggiata, per il teatro dell’arte, per la musica jazz e classica.
Negli anni Ottanta, dopo la conclusione del sodalizio artistico con la Peragallo, de Berardinis riprende i suoi studi shakespeariani e intraprende una ricerca sul teatro «solista» che lo porterà, nel 1987, alla creazione di uno de suoi capolavori: Novecento e Mille è, per usare le stesse parole dell’autore, un «flusso di coscienza teatrale» che si apre con il Mito della Caverna e si chiude – dopo essere passato per Pasolini, Beckett, Majakovskij, Pirandello, Kafka, Eliot – con la rievocazione dei funerali di Lenin. Il successo di quello spettacolo permette la nascita del «Teatro di Leo», struttura destinata non solo alla produzione di spettacoli in piena autonomia, ma anche all’organizzazione di laboratori di ricerca, seminari, convegni e rassegne.
Nascono così messinscene memorabili come Il Fiore del deserto (1988), Ha da passa’ ’a nuttata (1989), Totò, principe di Danimarca (1990), L’Impero della ghisa e Lo Spazio della Memoria (entrambi del 1991), I Giganti della montagna (1993), Il ritorno di Scaramouche di Jean Baptiste Poquelin e Leòn de Berardin (1994).

Gli ultimi spettacoli di de Berardinis, prima che l’errore di un anestesista durante un’operazione chirurgica di routine lo riduca prima nello stato di coma irreversibile e poi alla morte (17 settembre 2008), sono Come una rivista (1999) e Past Eve and Adam’s (2000), tratto, quest’ultimo, non solo dal joyciano Finnegans Wake citato nel titolo, ma da tutti gli autori più amati da Leo: Rimbaud, Shakespeare, Leopardi, Omero, Dante, Pasolini, Sofocle.