Curcio Medie

Guerra combattuta tra le maggiori potenze dal 1914 al 1918.

Storia politico-diplomatica. Le cause della g. sono da ricercare in una profonda crisi spirituale e politica della civiltà europea: crisi che si sviluppa insieme alla prosperità caratteristica della belle époque, insieme al suo vertiginoso sviluppo tecnico, alla fiducia sempre più diffusa nel progresso. Il patriottismo che ha caratterizzato l'Ottocento tende a trasformarsi dovunque in un nazionalismo aggressivo e bellicoso che viene ad aggiungersi, e ad aggravare, i vari imperialismi che si contendono il primato nel mondo, il pangermanismo, il panslavismo, il panamericanismo; nazionalismi e imperialismi, inoltre, irridono alle idee umanitarie, sdegnano il pacifismo e le istituzioni parlamentari e vagheggiano regimi autoritari e antidemocratici.
Lo stesso socialismo, che pure era riuscito a realizzare, in molti paesi, enormi progressi nel tenore di vita delle classi popolari, è investito dalla crisi; si formano nel suo seno tendenze contrastanti: il riformismo che, rinunziando all'ideologia rivoluzionaria, si proponeva l'ascensione materiale e spirituale dei lavoratori all'interno del sistema democratico; il sindacalismo, che voleva invece la conquista del potere e l'edificazione dello Stato socialista attraverso lo sciopero generale; il bolscevismo che puntava sulla formazione di una minoranza intransigentemente rivoluzionaria che si ponesse a capo della classe operaia per instaurare la dittatura del proletariato.
Di conseguenza, il panorama politico subì profonde modificazioni, e quello che era chiamato il «concerto delle nazioni» era lacerato già nei primi anni del secolo XX da gravi dissidi. Dopo la formazione dell'unità tedesca, la Germania, sotto la guida del Bismarck, aveva rapidamente moltiplicato la sua potenza militare ed economica, tendendo evidentemente ad affermare la sua supremazia in Europa e ponendo la sua candidatura anche a una leadership mondiale. L'abilità manovriera del Bismarck era riuscita a far convivere il patto dei tre imperatori (Germania, Austria-Ungheria e Russia, 1881) tra le tre monarchie autoritarie e conservatrici del centro-Europa con la Triplice Alleanza (Germania, Austria-Ungheria e Italia, 1882) che copriva la Germania anche sul fronte mediterraneo; l'una e l'altra rivolte a evitare che alla Francia si offrissero possibilità politico-militari di preparare la revanche del 1870 e a mantenere relazioni non ostili con la Gran Bretagna. Ma, congedato il Bismarck nel 1890 dal giovane imperatore Guglielmo II, la politica tedesca divenne intemperante e aggressiva, si pose le mete della Weltmacht e della Weltpolitik; poiché però «l'autorità nel mondo della Germania priva della forza marittima era da considerarsi un mollusco senza conchiglia», oltre a un piano assai vasto di costruzioni navali si provvide a munire militarmente l'isola di Helgoland e a occupare le isole Bismarck, le Samoa, le Marianne, le Caroline, il porto cinese di Kiao-Chow in modo da assicurare alla flotta tedesca basi strategiche e libertà di movimento.
Questo «navalismo» a oltranza costrinse la Gran Bretagna, preoccupata della sua preminenza sui mari, a uscire dallo «splendido isolamento» e a cercare un riavvicinamento alla Francia, che fu sanzionato nell'entente cordiale stabilita nel 1904 e confermata nelle successive crisi marocchine (1906 e 1911); la penetrazione tedesca in Turchia, con la concessione della costruzione della ferrovia di Baghdad e la direzione e l'istruzione dell'esercito turco, e l'evidente intenzione tedesca di realizzare la Mitteleuropa, decisero la Gran Bretagna all'alleanza con la Russia in funzione antitedesca e all'adesione alla Triplice Intesa (Gran Bretagna, Francia e Russia), che rappresentava il contrappeso della Triplice Alleanza.
A questo antagonismo anglo-tedesco facevano corona altri antagonismi, che, anche se non avevano rilievo mondiale, rappresentavano tuttavia pericolosi focolai locali, capaci, come infatti avvenne, di appiccare il fuoco a tutto il sistema. Così era motivo di antichi e insanabili dissensi tra Austria e Russia la questione balcanica, cercando l'Austria attraverso il Drang nach Osten (marcia verso Oriente) di imporre la sua egemonia ai popoli balcanici, contro le aspirazioni della Serbia che ambiva a riunire sotto di sé tutti i popoli di razza slava e di religione ortodossa con l'appoggio della Russia che, attraverso la longa manus serba, puntava al Mediterraneo; Gran Bretagna e Italia, per differenti motivi, non vedevano certo di buon occhio l'egemonia austriaca o russa sui Balcani o una penetrazione di quei paesi nel Mediterraneo; per ragioni di prestigio e anche di sicurezza la Germania cercava di tener lontane dai Balcani sia la Russia che la Gran Bretagna. Irredentismi e nazionalismi si agitavano in Francia dove lo spirito di rivincita anelava alla riunione dell'Alsazia e della Lorena; in Italia, dove si rivendicavano le terre trentine, giuliane e dalmate; in Serbia, che aspirava all'annessione della Bosnia e dell'Erzegovina, passate invece, dal 1908, sotto il diretto dominio austriaco; in Romania, dove si rivendicavano le regioni della Bessarabia e della Transilvania; in Polonia, che aspirava alla ricostituzione della sua unità territoriale e politica; senza parlare del fermento ormai antico delle nazionalità ungheresi, croate, slovene all'interno dell'impero asburgico. Le due consecutive guerre balcaniche del 1912 e del 1913, facendo scoppiare acerbi contrasti politici ed etnici, avevano ampiamente giustificato l'appellativo di polveriera d'Europa con cui veniva definita la penisola balcanica.

Inizio del confronto. Il 28 giugno 1914 a Sarajevo, in Bosnia, lo studente serbo Gavrilo Princip, affiliato a un'associazione terroristica a carattere irredentistico, uccideva con un colpo di pistola l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono austriaco. Il vecchio imperatore Francesco Giuseppe, contando sulla riaffermata solidarietà tedesca e consigliato dal suo ministro degli Esteri conte Leopold Berchtold e dal capo di Stato Maggiore gen. Conrad von Hötzendorff, dette il suo assenso per l'invio al governo di Belgrado di un ultimatum molto duro, con cui si chiedeva, oltre allo scioglimento delle organizzazioni di propaganda politica, la partecipazione di funzionari austriaci all'inchiesta giudiziaria per la ricerca e la punizione dei colpevoli. Il documento, consegnato a Belgrado il 23 luglio 1914, esigeva una risposta entro 48 ore; in caso contrario, o se non si fossero accettate tutte le condizioni imposte, l'Austria si sarebbe considerata in stato di guerra con la Serbia. Era nelle speranze di Vienna che il conflitto rimanesse circoscritto e limitato; ma gli eventi precipitarono, per la decisione dei Russi nel sostenere la Serbia, non volendo lo zar Nicola II subire una diminuzione di prestigio e una nuova umiliazione nella penisola balcanica, come nel 1908.
Alla formale dichiarazione di guerra dell'Austria alla Serbia (28 luglio 1914) seguì la mobilitazione russa; la Germania, per prevenire la Russia a oriente, le dichiarò guerra il 1°agosto. La Francia aveva iniziato la mobilitazione fin dal 27 luglio e aveva richiesto alla Gran Bretagna l'assicurazione di concorso nella difesa navale delle coste da attacchi tedeschi: il 3 agosto l'ambasciatore tedesco consegnava al governo di Parigi la dichiarazione di guerra da parte del suo governo.
Il 4 agosto la Germania dichiarava guerra al Belgio, per attuare i suoi piani offensivi dopo il rifiuto belga di concedere il libero passaggio alle truppe tedesche operanti contro la Francia. Il giorno successivo la Gran Bretagna, decisa a difendere la neutralità belga, scendeva in campo contro la Germania; il 6 agosto l'Austria dichiarava guerra alla Russia e la Serbia alla Germania; il 23 agosto anche il Giappone si schierava in armi contro gli Imperi centrali. L'Italia, alleata dell'Austria e della Germania, fu ufficialmente informata delle intenzioni austro-tedesche con un ritardo per lo meno irriguardoso; il presidente del Consiglio Salandra e il ministro degli Esteri Di San Giuliano protestarono e fecero presente che, in quella situazione non ricorrevano gli estremi per il casus foederis per cui l'Italia sarebbe dovuta intervenire a fianco degli alleati. Il 9 dicembre. 1914 il nuovo ministro degli Esteri Sidney Sonnino, in base al disposto dell'art. 7 del Trattato della Triplice pose al governo austriaco la questione dei compensi territoriali: malgrado pressioni tedesche su Vienna, perché addivenisse a un accordo con il governo di Roma, l'Austria tergiversò a lungo, proponendo prima compensi soltanto su territori balcanici, poi, dopo la sconfitta subita in Galizia a opera dei Russi, compensi su altri territori della monarchia, escluse però Trento e Trieste; poi propose la cessione solamente di Trento, ma sempre a guerra conclusa. Nel marzo 1915, quando ogni speranza di trattative concrete con Vienna venne a cadere, Sonnino avviò negoziati diretti con l'Intesa, che si conclusero il 26 aprile con la firma del patto di Londra, in forza del quale all'Italia, in compenso del suo intervento a fianco dell'Intesa, sarebbero stati dati il Trentino e la Venezia Giulia, territori dalmati, il possesso di Valona, alcune province in Asia Minore e rettifiche coloniali.
Il 3 maggio 1915 l'Italia denunciava il trattato della Triplice Alleanza e il 24 maggio dichiarava guerra all'Austria. Con l'approssimarsi del conflitto e subito dopo lo scoppio delle ostilità fra i contendenti maggiori, le diplomazie svolsero un sottile e complesso lavoro per assicurare alla propria parte l'aiuto dei neutri o l'intervento armato di altri paesi: così, a fianco degli Imperi centrali si schierarono la Turchia, per evidenti ragioni anti-russe, e la Bulgaria (ottobre-novembre 1914); dalla parte degli Alleati intervennero invece la Romania (agosto 1916) per annettersi la Transilvania, e più tardi (giugno 1916) la Grecia, che aspirava a ingrandimenti territoriali nei Balcani e nell'Asia Minore. Nell'aprile dello stesso anno 1917 i tragici effetti della guerra sottomarina tedesca indussero a entrare nella lotta a fianco degli Alleati, gli USA: ragioni di ordine economico e ideologico decisero all'intervento gli USA, che fin dall'inizio delle ostilità avevano aiutato con viveri, armi, munizioni, equipaggiamenti di ogni tipo e danaro i Franco-Inglesi, essendosi sempre più fatta strada la convinzione che era ormai necessario abbandonare la tradizionale, ma già superata, politica di isolazionismo, per assumere le proprie responsabilità su uno scacchiere politico di ampiezza intercontinentale. 

Operazioni militari dell'anno 1914. Nei primissimi giorni dell'agosto, le divisioni austriache attestate sul Danubio iniziavano l'invasione del territorio serbo, difeso da 15 divisioni, ma erano inopinatamente fermate dal nemico con la battaglia di Iadar (16-24 agosto) e costrette a ripassare la Drina e la Sava, donde ripresero ad avanzare verso la metà di settembre. Il 3 dicembre veniva lanciata, sull'altipiano di Rudnik, una violenta controffensiva serba, che giungeva, il 14 dello stesso mese, fino a riconquistare la capitale Belgrado.
Al grave scacco, più di ordine morale che strategico, subito dall'Austria nel settore balcanico portò un certo compenso l'entrata in guerra a fianco degli Imperi Centrali della Turchia (30 novembre), il che rendeva possibile una minaccia austro-tedesca verso l'Egitto e l'India e rendeva facile una penetrazione militare e politica nel mondo musulmano. Il teatro principale di operazioni era però quello franco-tedesco. Il piano germanico di invasione della Francia, elaborato dal generale. Alfred von Schlieffen, capo di Stato Maggiore dal 1891 al 1905, prevedeva la rapida eliminazione dell'esercito francese a ovest per poi concentrare tutte le forze per lo scontro con le armate russe a est. Condizione essenziale per la riuscita era l'occupazione del Belgio e del Lussemburgo: attraverso quei territori la I e la II armata germaniche, forti di 70 divisioni, avrebbero effettuato una manovra avvolgente verso il centro della Francia, per serrare le truppe francesi fra Oise e Mosa e annientarle: a nulla sarebbero servite le poderose fortificazioni di frontiera, dinnanzi alle quali avrebbero tenuto il fronte germanico 10 divisioni schierate fra Metz e il confine svizzero.
Questo piano era stato però modificato dal nuovo capo di Stato Maggiore tedesco, generale Helmuth von Moltke, che aveva indebolito numericamente l'ala destra e rafforzato invece lo schieramento centrale, per cercare lo sfondamento del fronte francese fra Nancy e Belfort. Da parte francese i piani del generale Joffre capo di Stato Maggiore non prevedevano un'invasione tedesca del Belgio e basavano il concetto operativo su un poderoso attacco in Alsazia e in Lorena. Il 2 agosto fu rimesso da Berlino al governo belga un ultimatum per lasciare libero il passaggio alle truppe tedesche; il rifiuto di re Alberto e l'eroica difesa belga non poterono però fermare la macchina nemica, forte di 7 armate, contro le quali si schierarono 5 armate francesi, 6 divisioni belghe e il contingente inglese sbarcato nel frattempo in Francia agli ordini di lord French. Superata la resistenza delle piazzeforti belghe di Namur, Liegi, Lovanio e Bruxelles, i Tedeschi avanzarono celermente e dal 20 al 24 agosto si combatterono contemporaneamente in Lorena, nelle Ardenne, sulla Sambre e presso Maubeuge, quattro battaglie, note come battaglie delle frontiere.
Il generale Joffre, battuto in questa fase iniziale della guerra, dispose che l'ala destra francese resistesse a ogni costo in Lorena, che il centro si ritirasse lentamente e la sinistra ripiegasse più celermente per sfuggire all'accerchiamento: all'avanzata tedesca sulla destra, in cooperazione con il comandante della piazza di Parigi, generale Gallieni, oppose la memorabile resistenza sulle rive della Marna, dove confluirono tutte le truppe disponibili con ogni mezzo di trasporto, ivi compresi i famosi taxi parigini. Dal 6 al 12 settembre 1914 le truppe della I e della II armata tedesche, al comando del von Kluch e del von Bülow, cercarono di riaprirsi la via di Parigi, ma furono costrette a ripiegare e la guerra di movimento cessò; le truppe si attestarono su posizioni fisse, lungo un arco di circa 700 km, e cominciò da allora la logorante guerra di posizione nelle trincee.
Nel comando supremo tedesco il generale von Moltke fu sostituito dal gen. Falkenhayn, che dal 17 ottobre al 12 novembre 1914 guidò, ma senza successi apprezzabili, nel quadro della cosiddetta corsa al mare, la battaglia delle Fiandre, con cui si riprometteva di arrivare a Calais, per tagliare le comunicazioni marittime attraverso la Manica fra la Francia e la Gran Bretagna. Sul fronte orientale l'Austria schierava in Galizia contro i Russi la maggior parte delle sue forze, ma fu sconfitta dal granduca Nicola a Leopoli e costretta a ripiegare per proteggere la Slesia e la Moravia e a chiedere aiuto all'alleato tedesco. L'VIII armata tedesca della Prussia orientale, attaccata di sorpresa dal granduca Nicola e battuta a Gumbinnen, fu costretta a ritirarsi: ma il generale Hindemburg, che aveva assunto quel comando il 23 agosto, ben coadiuvato dal suo capo di Stato Maggiore generale Ludendorff, infiltrandosi con ardita manovra fra le due masse russe in movimento verso Danzica, le batté prima a Tannenberg (24-29 agosto) e poi ai Laghi Masuri (7-13 settembre): ai primi d'ottobre, con 5 corpi d'armata e una divisione di cavalleria, si portava in aiuto degli Austriaci, attaccando con loro i Russi, che si ritirarono dietro la Vistola, per preparare la controffensiva manovrata che li avrebbe portati a minacciare la pianura ungherese.

Operazioni militari dell'anno 1915. Il secondo anno di guerra fu caratterizzato da una relativa calma sul fronte occidentale, da intensa attività operativa sul fronte russo, dall'intervento dell'Italia, dalla disfatta serba e dal fallimento della spedizione alleata nei Dardanelli. La battaglia della Marna e quella delle Fiandre avevano radicalmente mutato il volto della guerra sul fronte francese e sconvolto il piano operativo elaborato dallo Stato Maggiore tedesco; venuta meno la possibilità di una rapida soluzione del conflitto a occidente, la Germania concentrò il suo massimo sforzo sul fronte russo per tentare di eliminare la Russia dalla lotta. Alcuni corpi d'armata furono perciò spostati dal Falkenhayn sul fronte orientale, dove gli Austriaci avevano dovuto cedere terreno ai Russi, che nel marzo 1915 avevano potuto occupare Przemysl in Galizia, minacciando così da vicino l'Ungheria.
Una nuova armata, costituita da 6 divisioni tedesche e 3 austriache, al comando del generale Mackensen, il 3 maggio riuscì a sfondare la linea russa presso Gorlice, obbligando gli avversari a una precipitosa ritirata fino al golfo di Riga e ad abbandonare la Polonia, la Galizia e la Lituania: il granduca Nicola, che, malgrado la sconfitta, aveva dimostrato buona capacità manovriera, fu esonerato dal comando in capo e trasferito al fronte caucasico, mentre lo zar in persona prendeva la direzione del suo esercito. La vittoria tedesca a oriente fu decisiva per determinare l'intervento della Bulgaria (ottobre 1915), che rese possibile la disfatta serba.
L'esercito serbo, premuto a nord dalle divisioni austriache e a est dai Bulgari, fu completamente disfatto e i suoi reparti, sbandati e demoralizzati, scesero verso la costa albanese, da dove la flotta italiana, con il concorso di navi francesi e inglesi, li portò in salvo a Corfù. Nella penisola balcanica l'intervento della Turchia a fianco degli Imperi Centrali aveva concorso a isolare la Russia dai suoi alleati occidentali, con la chiusura degli stretti dei Dardanelli e del Bosforo e con l'impossibilità di ricevere aiuti e materiali per la via del Mediterraneo; aveva inoltre obbligato la Russia ad aprire un secondo fronte nel Caucaso e la Gran Bretagna a preoccuparsi del Canale di Suez e delle vie terrestri verso l'India attraverso il Medio Oriente. Per sbloccare questa situazione, i Franco-Inglesi decisero nella primavera 1915, su progetto del Lord dell'Ammiragliato Winston Churchill, di forzare i Dardanelli, al duplice scopo di colpire gravemente la Turchia e di aprire comunicazioni dirette e sicure con la Russia.
Ma il forzamento dei Dardanelli apparve subito difficilissimo, non solo per la lunghezza dello stretto (circa 75 km), ma soprattutto per le numerose e poderose opere di fortificazione costiera e campale che i tecnici tedeschi vi avevano fatto costruire; fu sbarcato un forte contingente di truppe alleate nella penisola di Gallipoli, ma la resistenza turca, appoggiata a solidi sistemi trincerati, procurò ai Franco-Inglesi notevoli perdite in uomini e mezzi senza conseguire risultati apprezzabili, per cui, nel dicembre dello stesso anno 1915 fu deciso il ritiro del corpo di spedizione. Unico evento favorevole per l'Intesa fu l'intervento dell'Italia. In ottemperanza agli obblighi del Patto di Londra, il 24 maggio il governo italiano dichiarava guerra all'Austria e, secondo i piani dello Stato Maggiore, retto dal tenente generale Luigi Cadorna, l'esercito si schierava lungo il grande arco di confine dallo Stelvio al mare, in questo ordine: dallo Stelvio alla val Cismon, la I armata, con 6 divisioni; nel Cadore, la IV armata, con 5 divisioni di fanteria; nella zona carnica, una formazione speciale, con 16 battaglioni alpini e 2 brigate di fanteria; dal monte Maggiore a Prepotto, la II armata, forte di 9 divisioni di fanteria e 1 di cavalleria; poi, fino al mare, la III armata, con 6 divisioni di fanteria e 3 di cavalleria. Le riserve erano state dislocate nella pianura veneta.
Il piano operativo prevedeva la difensiva nel tratto trentino e l'offensiva sul settore orientale del fronte, in direzione di Lubiana: ma gli apprestamenti difensivi nemici lungo il confine, facilmente difendibile da parte austriaca, perché correva sulla linea di cresta dei monti che sovrastano la pianura veneta o sulla linea di maggiore altezza nella zona montana, frenarono lo slancio iniziale delle divisioni di prima linea, che nei primi giorni riuscirono solo a conquistare qualche buona posizione nel Trentino.
La continuità e la poderosità della linea nemica, rinforzata dai campi trincerati di Tolmino e di Gorizia e dal bastione roccioso del Carso, obbligarono l'esercito italiano a una serie di reiterati attacchi frontali per cercare di aprire una breccia da cui procedere poi allo sviluppo del piano operativo in profondità; ciò portò a un logoramento delle forze, cui fecero difetto anche i mezzi idonei; infatti, nonostante gli sforzi fatti dalla industria per l'armamento, l'esercito disponeva di poche mitragliatrici (in tutto 600 in dotazione a truppe di prima linea), mentre il parco di artiglieria era in buona parte di vecchio modello e di potenza limitata; anche il munizionamento e la preparazione tecnica difettavano in quantità e qualità. Sul fronte dell'Isonzo si combatterono, nel corso dell'anno, quattro battaglie, tutte rientranti nel piano strategico dello Stato Maggiore, dirette a infrangere la resistenza del campo trincerato di Gorizia, accompagnate da azioni dimostrative contro quello di Tolmino. Vi concorsero le truppe della II e della III armata che, dal giugno al dicembre 1915, subirono perdite notevolissime, tenendo però impegnate sul nostro fronte imponenti masse nemiche, mentre la flotta italiana bloccava nei porti quella austriaca, impedendole di uscire nell'Adriatico. Il 1915 si chiudeva quindi in attivo per gli Imperi Centrali.

Operazioni militari dell'anno 1916. Il terzo anno di guerra fu caratterizzato dalla grande battaglia intorno al campo trincerato di Verdun e sulla Somme al fronte occidentale, dall'offensiva austriaca (Strafexpedition, spedizione punitiva) in Italia e dall'intervento della Romania. Lo Stato Maggiore tedesco, neutralizzata a est la spinta russa e allontanata la minaccia contro lo schieramento austriaco, poté orientare la sua azione alla ricerca di un decisivo successo a ovest. Il Falkenhayn organizzò un attacco a fondo nel settore di Verdun, con lo scopo non tanto di sfondare il fronte quanto di sottoporre le forze avversarie a un logoramento continuo e snervante, capace di fiaccarne ogni possibilità di resistenza.
I combattimenti nel settore durarono ininterrottamente dal 21 febbraio al 24 giugno, ma l'abilità del generale Pétain e la saldezza delle divisioni francesi impegnate determinarono l'insuccesso tedesco, anche se esso costò la perdita di 275.000 soldati; da parte tedesca rimasero sul terreno della lotta 240.000 caduti. A questa gigantesca battaglia, detta anche «del Kronprinz», perché il principe ereditario assunse il comando delle divisioni tedesche operanti, fece seguito la battaglia della Somme, combattuta dal 1° luglio al 23 novembre in cui furono impegnate 40 divisioni franco-inglesi che, sostenute da un poderoso schieramento di artiglieria, cercarono di spezzare la linea tedesca, che in qualche punto arretrò di alcuni km ma non fu travolta; le perdite furono ancora una volta elevatissime, calcolandosi quelle franco-inglesi in più di mezzo milione di uomini fuori combattimento e quelle tedesche in circa 300.000 caduti.
Durante questa battaglia fecero la loro prima uscita, a sostegno delle fanterie attaccanti, i carri armati, o tanks. Sul fronte italiano, il piano operativo del maresciallo Conrad era quello di sfondare le nostre linee nel Trentino e, sboccando con ingenti forze nella pianura padana, avvolgere tutto lo schieramento italiano sull'Isonzo: in un secondo tempo, attraverso le regioni settentrionali italiane, si sarebbe dovuto aggirare l'esercito francese da sud, concorrendo quindi all'eliminazione dell'Italia dalla guerra e alla vittoria definitiva sul fronte occidentale insieme all'alleato tedesco. Ammassati perciò nel Trentino 180 battaglioni e circa 1500 bocche da fuoco, Conrad, nel maggio, faceva scattare in avanti le sue fanterie: la Strafexpedition contro l'Italia ebbe un inizio favorevole all'attaccante che poté raggiungere la linea Coni Zugna-Passo Buole e la conca di Arsiero: ma l'ala destra fu arrestata in val Lagarina e sul Pasubio e la sinistra non poté superare, per la disperata difesa italiana, la val Sugana. Per parare il colpo nemico, qualora fosse avvenuto lo sfondamento del fronte trentino con la minaccia delle divisioni austriache verso la pianura, il generale Cadorna aveva proceduto con urgenza, con truppe tolte al fronte giulio, alla costituzione della V armata, attestata nei dintorni di Vicenza, realizzando una brillante manovra per linee interne. Il 15 giugno l'offensiva austriaca si spegneva e la controffensiva italiana riportava le nostre truppe sulle posizioni iniziali. Cadeva prigioniero, durante i combattimenti, Cesare Battisti, volontario nell'esercito italiano, condannato a morte dall'Austria e impiccato poi il 12 luglio, insieme a Fabio Filzi, nella fossa del Castello del Buon Consiglio a Trento.
A concorrere al fallimento della Strafexpedition, oltre al valore di tutti i reparti italiani, fu determinante anche l'offensiva lanciata in Galizia dal generale Brusilov (4 giugno), che costrinse il maresciallo Conrad a inviare in quel settore alcune divisioni tolte al fronte trentino: i Russi, infatti, approfittando dell'alleggerimento operato dal Conrad, avanzarono nei Carpazi, occupando la Volinia e la Bucovina; anche se essi non riuscirono a sfruttare strategicamente il successo ottenuto per la mancanza di riserve pronte da portare in linea, inflissero al nemico la perdita di circa 700.000 uomini, di cui quasi mezzo milione prigionieri, e di una notevole parte di territori. Il comando supremo italiano, una volta ristabilito il fronte trentino, riprese l'azione sul fronte dell'Isonzo dove lo sforzo fu ancora una volta concentrato nel settore di Gorizia: la VI battaglia dell'Isonzo (6-14 agosto) portò le truppe italiane alla conquista della città (9 agosto). Per sfruttare il successo si combatterono successivamente, nel corso del 1916, altre tre battaglie dell'Isonzo (VII, VIII, IX); i vantaggi territoriali furono però di scarsa entità, mentre le perdite umane furono sensibili da ambo le parti.
Dopo la conquista italiana di Gorizia e dopo la vittoriosa offensiva del Brusilov, anche la Romania decise l'intervento a favore dell'Intesa e il 28 agosto dicembre dichiarò guerra agli Imperi centrali; ma l'alto comando tedesco, operando il ricongiungimento di due gruppi di armate, invase il territorio rumeno, occupando il 6 dicembre la stessa capitale Bucarest e mettendo così a disposizione dei governi di Berlino e di Vienna i pozzi petroliferi e le notevoli risorse agricole del paese. Il 21 novembre moriva il vecchio imperatore d'Austria Francesco Giuseppe, cui succedeva Carlo I; nel dicembre la Francia decideva la sostituzione del generalissimo Joffre con il generale Nivelle.

Operazioni militari dell'anno 1917. Nel quarto anno di guerra gli avvenimenti più importanti nel campo militare furono la grande offensiva franco-britannica dell'aprile; la X, XI e XII battaglia dell'Isonzo, nei mesi di maggio, agosto e ottobre; la disfatta e la rivoluzione russa; gli interventi degli USA e della Grecia; la conquista di Baghdad da parte degli Inglesi. La grande offensiva franco-britannica avrebbe dovuto svolgersi in concomitanza di altra offensiva anti-tedesca sul fronte russo; crollato questo, fu ugualmente iniziata, ma con spirito e situazione ben diversi. Lo sforzo principale doveva essere esercitato tra Reims e il canale dall'Oise all'Aisne; il gruppo delle armate francesi, al comando del maresciallo Foch, avrebbe avuto l'appoggio laterale delle divisioni inglesi e di quelle belghe.
I Tedeschi prevennero però il primo massiccio attacco effettuando una ritirata ordinata sulle posizioni fortificate della linea Hindenburg, già prestabilite e sulle quali poterono contenere prima e poi fiaccare lo slancio degli attaccanti, che subirono perdite fortissime. Per l'insuccesso subito, il Nivelle fu sostituito nel comando dal generale Pétain, mentre Foch veniva nominato capo di Stato Maggiore delle truppe francesi. Per togliere l'iniziativa all'avversario gli Italiani e gli Inglesi dovettero assumersi l'onere di nuovi sacrifici: i primi attaccarono nelle Fiandre, i secondi nel settore carsico.
La micidiale guerra sottomarina tedesca procurava danni assai ingenti ai trasporti inglesi fra la Gran Bretagna e i porti francesi, fra i porti metropolitani e quelli del Medio Oriente, dove agiva un'armata britannica, e si presentava minacciosa per i trasporti statunitensi di materiali necessari ai belligeranti e delle truppe statunitensi che presto avrebbero dovuto arrivare in Francia una volta dichiarato formalmente lo stato di guerra fra gli USA e la Germania: questo fu uno dei fattori determinanti per l'offensiva alleata, diretta all'eliminazione delle basi per sottomarini attrezzate dalla Germania a Ostenda e a Zeebrugge.
La battaglia si scatenò violenta il 3 luglio e durò fino al 6 novembre, dando modesti vantaggi territoriali agli attaccanti nella zona di Ypres.
Il 20 novembre gli Inglesi lanciavano un nuovo attacco di sorpresa nel settore di Cambrai, appoggiando l'azione delle fanterie con grosse formazioni di carri armati; il poco terreno conquistato fu riperduto però pochi giorni dopo, sotto la spinta di un deciso contrattacco tedesco. Sul fronte italiano, nei primi mesi dell'anno si ebbe una stasi delle operazioni dovuta essenzialmente alle cattive condizioni del tempo; con l'arrivo della buona stagione e per tener fede agli impegni presi con gli alleati, il generale Cadorna dispose le azioni per continuare lo scardinamento del campo trincerato di Gorizia con attacchi dal nord e dal sud; il maggior numero di cannoni e di mitragliatrici in dotazione alle divisioni sia italiane che austriache (queste ultime al comando diretto dell'imperatore Carlo I, mentre Conrad, esonerato dalla carica di capo di Stato Maggiore, era passato al comando del gruppo di armate del Tirolo e quelle schierate sull'Isonzo erano rimaste agli ordini del maresciallo Boroevic) dettero alla battaglia un carattere di grande violenza.
La X battaglia dell'Isonzo, che dal 12 maggio si protrasse fino al 5 giugno, fu forse la più sanguinosa; da Tolmino al mare le nostre divisioni si logorarono nei tentativi di conquista del monte Santo, dell'Hermada e delle posizioni nemiche poste a sbarramento della strada verso Trieste, raggiungendo qualche apprezzabile risultato a nord di Gorizia, con la occupazione del Kuk e del Vodic. Mentre si preparava la successiva battaglia nel settore isontino, dal 10 al 26 giugno la lotta infuriò sull'Ortigara: il sacrificio dei più bei battaglioni alpini (24.000 caduti), non fu sufficiente a mantenere il monte in nostre mani. Affidando lo sforzo principale alla II armata (generale Capello), che doveva conquistare l'altipiano della Bansizza per togliere all'esercito austriaco una posizione strategica di fondamentale importanza ai fini della difesa dei campi trincerati di Tolmino e di Gorizia e delle comunicazioni fra le armate del Tirolo e quelle dell'Isonzo, il comando italiano, con l'XI battaglia dell'Isonzo raggiunse l'obbiettivo fissato, dopo una serie di aspri combattimenti durati dal 19 al 31 agosto.
Intanto, nel marzo (febbraio secondo il calendario giuliano ancora vigente in Russia) scoppiava in Russia la rivoluzione; costretto lo zar all'abdicazione, il potere venne assunto da un ministero di coalizione favorevole alla continuazione della guerra a fianco dell'Intesa; ma i soldati o disertavano o fraternizzavano con il nemico mentre dovunque sorgevano i «Soviet» o consigli di operai, di soldati e di contadini, che rappresentavano una specie di governo popolare diretto.
Quando il governo passò nelle mani del socialista Kerenski l'esercito tentò ancora una breve e debole offensiva, annullata dagli avversari con una avanzata di 150 km; nell'agosto Ludendorff lanciò le sue divisioni verso Riga, che fu occupata il 3 settembre, e verso il golfo di Finlandia; ma il 26 ottobre il governo bolscevico, che intanto con la Rivoluzione di Ottobre (7 novembre secondo il calendario occidentale) si era impadronito del potere, chiese l'armistizio, le cui clausole furono sottoscritte il 22 dicembre. Il 3 marzo 1918 fu firmata la pace separata di Brest-Litovsk e le truppe austro-tedesche procedettero all'occupazione di vastissimi territori dal Baltico all'Ucraina per garantire l'esecuzione degli accordi di pace e per sfruttarne le risorse agricole e minerarie. Cessata ogni attività operativa sul fronte orientale fin dal settembre, la Germania, per aderire a una pressante richiesta dello stesso imperatore d'Austria, cedette all'alleata una intera armata, la XIV, che agli ordini del gen.
Otto von Below fu trasferita sul fronte italiano, dove affluirono anche le divisioni austriache non più impegnate contro i Russo-Rumeni. Questa imponente massa di uomini e di mezzi, dopo che il maresciallo Hindenburg aveva giudicato «manifestamente debole» il tratto del fronte italiano fra Plezzo e Tolmino, fu concentrata in quella zona per l' «offensiva Waffentreue (della fratellanza)», per vibrare un duro colpo, forse risolutivo, all’Italia. L'azione ebbe luogo di sorpresa, dopo un breve martellamento di artiglieria anche con proiettili con gas asfissianti; il primo violento attacco dei reparti d'assalto fu seguito da quello di poderose colonne che, sfondato il fronte a Caporetto, procedettero velocemente per le vallate del Torre e del Natisone, per sboccare nella pianura friulana a Tarcento e a Cividale. Confusione nei comandi, schieramento più di carattere offensivo che difensivo, sorpresa, scarsezza e lentezza di collegamenti, eccessiva lunghezza della linea del fronte, sbandamento di alcuni reparti, poca profondità dello scaglionamento dei battaglioni e delle opere di fortificazione campale, sono le cause che i critici di storia militare indicando come determinanti del successo ottenuto dal massiccio attacco austro-tedesco alle linee italiane, iniziato il mattino del 24 ottobre e proseguito con decisione e violenza nei giorni seguenti; il 27 cadeva Cividale, il 28 Udine.
Il generale Cadorna dovette ordinare il ripiegamento sulla linea del Tagliamento dell'armata battuta e contemporaneamente, per evitarne l'aggiramento, l'arretramento della II armata dal Carso e della IV armata dalla Carnia, mentre i reggimenti di cavalleria si dissanguavano eroicamente nella pianura friulana per contenere il più possibile l'avanzata del grosso nemico. Dimostratasi insostenibile la linea del Tagliamento, una nuova linea difensiva venne creata lungo il fiume Piave e appoggiata al massiccio montuoso del Grappa: andarono perdute intere province del Veneto, 400.000 uomini e grandi quantità di artiglierie e di materiali.
Il nuovo fronte italiano, che andava dallo Stelvio al mare, era difeso da un complesso di 31 divisioni di fanteria e 1 di cavalleria, di fronte alle quali presero posizione 55 divisioni austro-tedesche. A completare le forze operanti sul fronte italiano vennero inviate 6 divisioni francesi e 3 divisioni inglesi. Il 9 novembre il generale Cadorna cedette il comando dello Stato Maggiore al generale Armando Diaz; da quel momento, cessata anche la crisi di ordine morale che aveva attraversato il paese, assunta la presidenza del Ministero di unione nazionale da Vittorio Emanuele Orlando, si iniziava la riscossa italiana. Il 7 aprile 1917 il presidente degli USA, Woodrow Wilson, dichiarava guerra alla Germania: logica conseguenza finale dell'atteggiamento statunitense verso l'Intesa, aiutata fin dallo scoppio del conflitto con materiali e danaro e verso la Germania, detestata dall'opinione pubblica statunitense per la condotta della guerra sottomarina, che non risparmiava neppure i neutrali in dispregio alle norme del diritto internazionale. La situazione politica e militare che si sarebbe poi creata alla fine della lotta armata, se la Germania ne fosse uscita vittoriosa, avrebbe bloccato lo sviluppo degli USA che aspiravano a diventare una potenza mondiale per la forza sempre crescente della loro economia, della loro industria e della loro produzione.
Più celeri del previsto si dimostrarono l'armamento e l'addestramento delle divisioni statunitensi, che cominciarono a essere trasportate in Europa dopo pochi mesi: già nel luglio consistenti reparti statunitensi erano dislocati sul fronte francese, dopo aver traversato l'Atlantico sotto la scorta delle navi da guerra, che impedirono l'assalto ai convogli da parte dei sottomarini tedeschi, contro cui furono messi in opera i più perfezionati sistemi di avvistamento e di distruzione.
L'esempio degli USA fu seguito anche da altri Stati americani, primo fra tutti il Brasile, che si schierarono con i paesi dell'Intesa pur non partecipando materialmente alle operazioni di guerra contro la Germania. Le vicende politiche interne della Grecia avevano portato alla deposizione del re Costantino, cognato del kaiser Guglielmo II e favorevole a un allineamento del suo paese con gli Imperi Centrali: il nuovo re Alessandro chiamò alla presidenza del Consiglio il liberale Venizelos, che decise invece l'intervento in guerra a fianco dell'Intesa. Ne risultò il rafforzamento del fronte di Salonicco nel Sud balcanico, che dopo l'intervento greco (27 giugno 1917) assunse uno spiccato orientamento anti-austriaco. Il ritiro dalla lotta della Russia determinò, inoltre, l'evolversi in senso favorevole alla Gran Bretagna della situazione militare e politica nel Medio Oriente, dove le truppe britanniche dislocate in Mesopotamia occuparono Baghdad (11 marzo) e successivamente le truppe del generale Allenby poterono occupare, in Palestina, Gaza (6 novembre), Giaffa (17 novembre) e Gerusalemme (10 dicembre.).

Operazioni militari dell'anno 1918. Alla vittoria dell'Intesa e dei suoi alleati si giunse, nel 1918, attraverso le grandi battaglie combattute sul fronte francese, alla battaglia del Piave e di Vittorio Veneto sul fronte italiano e alla resa della Bulgaria e della Turchia, preludio alla sconfitta dell'Austria e della Germania. Conscio che l'apporto militare statunitense sul fronte francese avrebbe recato un notevole vantaggio agli alleati sia in uomini freschi che in materiale moderno e perfezionato, lo Stato Maggiore tedesco volle, all'inizio della buona stagione, tentare un colpo risolutivo, tanto più che dopo l'eliminazione del fronte russo, lo sforzo poteva essere concentrato solo a occidente.
Perciò fu deciso un attacco a fondo nel settore compreso fra Arras e La Fère, con lo scopo di incunearsi fra le armate inglesi e quelle francesi e avvolgere le prime pressandole verso il mare. Alla azione, iniziata il 21 marzo, presero parte tre armate germaniche che, travolta la resistenza della V armata inglese, avanzarono nella breccia aperta, mettendo in difficoltà anche lo schieramento francese: la disperata difesa della III armata inglese e la manovra operata dal Foch sul fianco sinistro degli attaccanti, poterono arginare le armate di Ludendorff. L'offensiva si spense il 5 aprile, senza aver potuto realizzare il successo preventivato. Il 9 aprile i Tedeschi attaccarono ancora con parecchie divisioni il fronte tenuto dagli Inglesi fra Givenchy e Armentières, allargando progressivamente l'urto verso nord, per raggiungere Dunkerque, e verso sud, in Fiandra; le perdite da ambo le parti furono enormi, ma mentre gli alleati occidentali potevano già contare sull'arrivo delle divisioni statunitensi, i Tedeschi cominciarono ad accusare la difficoltà sempre maggiore di riempire i vuoti che l'asprezza della lotta apriva nelle loro file; tuttavia la loro offensiva riprese con rinnovato vigore e il 30 maggio essi erano di nuovo alla Marna, a meno di 100 km da Parigi; ma i sanguinosi combattimenti impegnati dai Francesi nel giugno riuscirono a fermare il loro slancio offensivo, grazie soprattutto alla potenza delle artiglierie e all'abile impiego delle riserve tattiche.
Il comando tedesco riprese l'attacco nella zona di Reims il 10 luglio, ma dopo i primi successi locali, contenuti dal maresciallo Pétain, il nuovo comandante delle forze interalleate, maresciallo Foch, passò al contrattacco, iniziando nell'agosto un'offensiva a largo raggio, che ridusse i Tedeschi a ritirarsi fino alla «linea Hindemburg» donde erano partiti per il loro attacco iniziale. In campo tedesco, malgrado la presenza dell'imperatore sui campi di battaglia per tutta la durata delle operazioni, il cui complesso è anche detto «battaglia del Kaiser», sempre più visibili si dimostravano il logorio delle forze materiali e il declino del morale dei combattenti. Sul fronte italiano, dopo il successo della «battaglia d'arresto» sulla linea Piave-Grappa (ottobre-novembre 1917), il comando supremo si preoccupò di rinsaldare il morale delle truppe, rinsanguate con l'inserimento delle classi giovanissime del 1899 e del 1900; reintegrati l'armamento collettivo e individuale, assicurati il vettovagliamento e i rifornimenti, migliorato l'equipaggiamento, ampliata l'assistenza politica e morale, l'esercito si preparò psicologicamente e materialmente, durante il lungo e difficile inverno, alla riscossa.
Il comando austriaco, alla metà di giugno, iniziò una grande offensiva sul1'altipiano di Asiago, sul Montello e sul Grappa, con lo scopo di prendere di rovescio le divisioni schierate sul Piave: i contrattacchi italiani, agevolati dall'abilità della manovra dei rincalzi e dall'intervento tempestivo delle riserve, fecero fallire il piano nemico; gli Austriaci, che in qualche punto avevano anche passato il Piave e ottenuto successi territoriali nel settore montano, furono obbligati a retrocedere sulle posizioni di partenza e, il 24 giugno, la «battaglia del solstizio» ebbe termine con la vittoria delle nostre truppe. Fattasi critica la situazione austriaca dopo il crollo dei fronti bulgaro (settembre) e turco (ottobre), il comando italiano lanciò l'offensiva finale il 24 ottobre, anniversario di Caporetto. L'attacco ebbe inizio nel settore del Grappa per richiamarvi le riserve nemiche; il 26 le truppe del generale Caviglia, con manovra di sorpresa, riuscirono a passare il fiume Piave alle Grave di Papadopoli; incalzati dalle divisioni degli altipiani e del Piave, gli Austriaci iniziarono il 28 la ritirata sulla seconda linea di difesa, ma il 29, precipitando la situazione per i numerosi e ormai irrefrenabili infiltramenti dei nostri battaglioni di prima schiera fra le armate nemiche, il maresciallo Boroevic emanava gli ordini per «lo sgombero metodo del Veneto».
Nei giorni seguenti sotto la pressione delle divisioni italiane avanzanti entro le brecce aperte nello schieramento nemico, la ritirata si tramutò in rotta: alle ore 15 del 4 novembre il fuoco cessava su tutto il fronte, secondo le clausole dell'armistizio firmato il giorno precedente a Villa Giusti, presso Padova. Le conseguenze non si fecero attendere: la Germania, considerata la gravità della sua situazione interna (il kaiser aveva abdicato il giorno 8 novembre) e la minaccia rappresentata dall'esercito italiano dal sud, mentre le sue armate scaglionate sul fronte francese erano duramente provate da una ulteriore offensiva alleata, iniziò le trattative per un armistizio, che fu firmato l'11 novembre a Compiègne.
Precedentemente anche gli alleati degli Imperi Centrali avevano dovuto piegarsi a chiedere gli armistizi. Nel settore balcanico l'avanzata delle truppe alleate, composte da 6 divisioni serbe, 8 francesi, 4 inglesi, 10 greche e 1 italiana, aveva portato alla occupazione di Monastir e alla liberazione della Serbia; in seguito al delinearsi di una situazione assai difficile e grave, la Bulgaria si vide costretta a chiedere la tregua, concessa il 29 settembre Il re Ferdinando di Coburgo abdicò in favore del figlio Boris e l'Austria dovette organizzare un altro fronte per parare la minaccia che le veniva portata anche da oriente. La resa della Bulgaria accelerò quella della Turchia, contro cui premevano gli Inglesi dalla Mesopotamia, gli Arabi in rivolta sobillati dagli Inglesi e dal leggendario colonnello Lawrence con la promessa della indipendenza, un corpo franco-inglese dalla Palestina e le truppe alleate dalla Balcania. L'armistizio, chiesto dal governo turco, fu concesso il 30 ottobre 1918.

La guerra sui mari. Fin dall'inizio delle ostilità, la flotta inglese dovette assumersi il compito di proteggere non solo i convogli trasportanti truppe e materiali in Francia, ma tutte le comunicazioni fra il continente e le isole britanniche; oltre poi a fronteggiare su tutti i mari la minaccia tedesca al suo traffico e ai suoi rifornimenti, doveva cercare di bloccare la flotta avversaria nel Mare del Nord. L'attività tedesca sul mare, vivace nei primi mesi di guerra, andò progressivamente limitandosi; da minaccia effettiva la flotta di superficie divenne minaccia potenziale, mentre ebbe grande sviluppo la flotta sottomarina, che riuscì a portare al nemico danni assai gravi.
Uno scontro nei pressi del Dogger Bank, il 24 gennaio 1915, confermò la superiorità inglese; ma quello indubbiamente che ebbe le maggiori ripercussioni avvenne il 31 maggio 1916 nello Skagerrak e fu chiamato battaglia dello Jutland. Le due parti vi impegnarono forze navali considerevoli: i Tedeschi, che intendevano eliminare il blocco inglese, vigile e inviolabile, erano forti di 127 unità, ed esattamente di 53 cacciatorpediniere e 14 sommergibili in avanguardia, di 11 incrociatori leggeri, 20 cacciatorpediniere e 2 sommergibili in seconda posizione e, in coda alla formazione, 22 corazzate .e 5 incrociatori da battaglia. Comandante era l'ammiraglio von Scheer.
In campo avversario, agli ordini dell'ammiraglio Jellicoe, v'erano 28 corazzate, 9 incrociatori da battaglia, 8 incrociatori corazzati, 22 incrociatori leggeri, 81 cacciatorpediniere, 1 portaerei e 1 nave-posamine. Le perdite furono, per entrambe le marine, notevoli: gli Inglesi ebbero 3 corazzate, 3 incrociatori e 8 cacciatorpediniere affondati, 6097 morti, 510 feriti; i Tedeschi 2 corazzate, 4 incrociatori e 5 cacciatorpediniere affondati, 2551 morti e 507 feriti. L'esito rimase incerto; ma il comando tedesco non fece più uscire in mare aperto la sua flotta e iniziò l'impiego senza restrizione dei sommergibili, il che fece maturare la decisione degli USA di intervenire in guerra contro la Germania. Per garantire ancor meglio il blocco del mare del Nord, la Gran Bretagna chiuse con il Northern barrage, composto da 71.000 mine, l'uscita nell'Atlantico a nord. Il 21 ottobre 1919 i sommergibili tedeschi dislocati nei vari mari ebbero l'ordine di rientrare alle basi, dove li sorprese la fine della guerra.
Il 21 novembre 1918, in esecuzione delle clausole dell'armistizio, una flotta tedesca, comprendente 11 corazzate, 5 incrociatori da battaglia, 6 incrociatori leggeri, fu internata a Scapa Flow, dove gli equipaggi stessi affondarono le navi, il 21 giugno 1919, per non consegnarle al nemico. Poco peso nella lotta contro la Russia ebbero le operazioni navali nel Baltico; molto ne ebbero invece la squadra di crociera dislocata nel Pacifico agli ordini dell'ammiraglio von Spee e le navi da guerra corsare che operarono nell'Atlantico e nell'Oceano Indiano. Dopo l'entrata in guerra dell'Italia, un nuovo teatro di operazioni navali si aprì nell'Adriatico: la flotta italiana, agli ordini del duca degli Abruzzi fino al febbraio 1917, e poi dell'ammiraglio Paolo Thaorr de Revel tentò invano di far uscire la flotta austriaca dai porti di Pola, Fiume e dalle Bocche di Cattaro per decidere il predominio del mare. Le nostre navi concorsero al salvataggio dei resti dell'esercito serbo (novembre 1915 - febbraio 1916), ad assicurare  collegamenti e i rifornimenti alle nostre truppe dislocate in Balcania e al blocco del Canale di Otranto. Particolare risalto ebbero le azioni di Cortellazzo (16 novembre 1917), in cui due Mas, al comando del capitano di vascello Costanzo Ciano, attaccarono la formazione austriaca comprendente le due corazzate Wien e Budapest; quella del 10 dicembre. 1917, in cui due Mas, al comando del capitano Luigi Rizzo, affondarono con i siluri la corazzata Wien; la cosiddetta beffa di Buccari, in cui tre Mas, con Costanzo Ciano e Gabriele d'Annunzio, l'11 febbraio 1918, entrarono nell'omonima baia; quella che portò Rizzo, il 10 giugno 1918, all'affondamento nelle acque di Premuda della corazzata Szent Istvan; ultima, nella notte sul 1° novembre 1918, quella condotta dagli ufficiali medici Rossetti e Paolucci nel porto di Pola e conclusa con l'affondamento della corazzata Viribus Unitis.
Dopo la riorganizzazione del fronte sul Piave, la marina ebbe il compito di difendere con pontoni armati di grosse artiglierie l'estrema ala destra del nuovo schieramento e i marinai del Battaglione S. Marco combatterono valorosamente a terra. Alla fine del conflitto la flotta austriaca fu internata a Venezia, a disposizione dei vincitori.

La guerra aerea. Anche se l'aviazione aveva già avuto una esperienza bellica durante la guerra italo-turca (1911-1912), allo scoppio della guerra mondiale nessuna delle nazioni belligeranti possedeva un'aviazione organizzata, autonoma ed efficiente; ancora incerti sull'uso dei dirigibili o degli aerei, gli Stato Maggiore ne curarono l'allestimento e l'impiego durante il corso del conflitto, migliorandone l'armamento e la struttura, per impiegare gli aeroplani in azioni di bombardamento e di ricognizione, ma non in masse compatte, come avvenne poi nel corso della seconda guerra mondiale. L'Italia entrò in guerra con 58 aerei e 91 aviatori, il cui numero venne progressivamente aumentando. Scarsamente impiegati furono gli idrovolanti. Sul fronte italiano raggiunse grande fama il maggiore Francesco Baracca, che abbatté 36 apparecchi avversari e cadde sul Montello, il 19 giugno 1918, durante una azione di mitragliamento a bassa quota sulle trincee nemiche.

I trattati di pace. Approcci per addivenire a una soluzione del conflitto erano stati effettuati, nel corso degli anni di guerra, ma il momento in cui le proposte furono avanzate dai Tedeschi non parve propizio agli alleati e le condizioni poste dagli alleati per iniziare trattative concrete parvero troppo dure ai Tedeschi. Così non ebbero seguito i tentativi fatti dall'imperatore d'Austria Carlo I all'inizio del 1917 per una pace separata da parte dell'Austria, né i tentativi di mediazione offerti dal Papa o da altri personaggi.
La prima pace firmata fu quella di Brest-Litovsk fra la Russia e gli Imperi Centrali (3 marzo 1918); seguì l'armistizio fra la Romania e gli Imperi Centrali (7 maggio 1918), quello fra la Bulgaria e gli alleati (29 settembre 1918) e quello fra la Turchia e l'Intesa (Mudros, 30 ottobre 1918); l'armistizio di Villa Giusti, fra l'Italia e l'Austria, e quello di Compiègne fra la Germania e gli alleati, fecero cessare la guerra e aprirono la via alle trattative di pace. La conferenza, che nel 1919 si aperse a Parigi per discutere i gravi e numerosi problemi creati o riproposti dalla guerra, dimostrò subito che le idee filantropiche sostenute dal presidente statunitense Woodrow Wilson nei suoi 14 punti erano in netto contrasto con gli egoismi e lo spirito di punizione che animavano Stati europei e con la vittoria conquistata a caro prezzo. Wilson aveva proposto una generosa solidarietà fra i popoli ai fini di una pace duratura, l’abolizione della diplomazia segreta, la libertà dei mari, l'abbattimento delle barriere doganali, la limitazione e il controllo degli armamenti, l'esame del problema coloniale sulla base delle rivendicazioni delle popolazioni indigene, una politica di amicizia verso la Russia, il diritto di libera decisione dei popoli e, infine, la creazione della Società delle Nazioni, per garantire il mantenimento della pace.
Ma i vincitori si preoccuparono solo dei loro interessi e i «punti» del Wilson non furono attuati o furono applicati solo se utili al controllo dei vinti. Comunque, nella fiducia di sistemare il passato e preparare l'avvenire, le 52 commissioni in cui si articolò la Conferenza redassero i trattati di pace, dopo l'approvazione del Comitato dei Quattro (Gran Bretagna, Francia, USA e Italia), fra i 27 paesi partecipanti alla guerra e ai lavori di Parigi. Tra la Germania e le Potenze vincitrici fu firmato, il 28 giugno 1919, il Trattato di Versailles: riconosciuta responsabile della guerra, la Germania veniva obbligata al risarcimento dei danni nella misura di 269 miliardi di marchi-oro; privata dell'Alsazia e della Lorena che tornavano alla Francia; dei distretti di Eupen e Malmédy, che passavano al Belgio; dello Schleswig, che veniva incorporato dalla Danimarca; dei territori di tradizione polacca, che erano assegnati al nuovo Stato di Polonia, mentre Danzica veniva eretta a città libera e un lungo corridoio, dividendo la Prussia orientale dal resto della Germania, avrebbe assicurato allo stato polacco lo sbocco al mare; essa rinunciava, inoltre, al trattato di Brest-Litovsk con la Russia, veniva privata di tutte le colonie e del bacino carbonifero della Saar, di cui si sarebbe poi dovuta decidere la definitiva assegnazione con un plebiscito; doveva abolire la coscrizione obbligatoria e ridurre gli effettivi dell'esercito a soli 100.000 uomini, consegnare la flotta e agevolare il controllo alleato sul disarmo; la Renania doveva essere smilitarizzata e occupata per 15 anni da truppe alleate.
Tra l'Austria e i vincitori fu firmato, il 10 settembre 1919, il Trattato di Saint-Germain e tra l'Ungheria e gli alleati il Trattato del Trianon (4 giugno 1920), in forza dei quali dalla smembrata monarchia austro-ungarica venivano costituite la Repubblica d'Austria, la Repubblica d'Ungheria e la Repubblica di Cecoslovacchia; il Trentino, l'Alto Adige, la Venezia Giulia venivano assegnati all'Italia; la Dalmazia, la Croazia, la Slovenia, la Bosnia, l'Erzegovina, la Serbia e il Montenegro venivano riuniti nel nuovo Regno di Iugoslavia, affidato alla monarchia dei Karageorgevic; la Galizia veniva incorporata nella Polonia, la Trarsilvania era assegnata alla Romania. Tra la Bulgaria e i suoi avversari fu firmato, il 27 novembre 1919, il Trattato di Neuilly, per cui la Dobrugia veniva restituita alla Romania e la Tracia alla Grecia: era così sanzionato l'allontanamento della Bulgaria dal Mar Egeo.
Tra la Turchia e gli Stati dell'Intesa fu firmato, l'11 agosto 1920, il Trattato di Sèvres: lo Stato turco veniva ridotto, in Europa, al possesso di Costantinopoli, mentre lo stretto dei Dardanelli sarebbe stato posto sotto controllo internazionale; Heggiaz, Mesopotamia e Palestina sarebbero passate in mandato per conto della Società delle Nazioni alla Gran Bretagna, la Siria e la Cilicia alla Francia, la Tracia con Adrianopoli alla Grecia; l'Italia avrebbe avuto una zona di influenza commerciale ad Adalia. Il sultano firmò il trattato, che fu però respinto dalle forze rivoluzionarie nazionali, guidate da Mustafà Kemal; esso fu successivamente modificato quasi interamente con il Trattato di Losanna, firmato il 24 luglio 1924, con cui la nuova Repubblica turca ottenne la sovranità su tutta l'Anatolia in Asia, sulla penisola di Gallipoli e sulla Tracia orientale in Europa.
I trattati che conclusero la g., e che globalmente presero il nome di Pace di Versailles, non raggiunsero i fini che si erano proposti. L'Europa ne uscì smembrata e insoddisfatta; i nazionalismi eccitati da una guerra così dura, lunga e carica di sacrifici si esacerbarono ovunque; antichi odi e rancori furono rinfocolati, nuovi dissidi, destinati a diventare con il tempo più gravi e acerbi, si aprirono. La Pace di Versailles, che doveva chiudere «l'ultima delle guerre», apriva, invece, un'epoca di totalitarismi, di violenza, di eclissi delle libertà e dei diritti umani e aggravò la crisi profonda della civiltà europea che doveva sfociare nella seconda guerra mondiale.