Curcio Medie

Musicista italiano (Roncole, Busseto, 1813 - Milano 1901).

Dopo aver appreso quasi da solo i primi elementi musicali (v. musica), apparve dotato di notevole talento; la città di Busseto, quindi, gli donò una borsa di studio (arrotondata dal commerciante A. Barezzi che, più tardi, sarebbe divenuto suo suocero) per permettergli di studiare a Milano.
Nel 1836 sposò Margherita Barezzi dalla quale ebbe due figli. Esordì ufficialmente come compositore (v. composizione) nel 1839, alla Scala, con Oberto, conte di S. Bonifacio: opera che, certamente influenzata dai musicisti che allora andavano per la maggiore, ottenne un buon successo. Un anno dopo, si cimentò con un lavoro comico, Un giorno di regno, che, però, cadde senza possibilità d’appello. Questo insuccesso, acuito da una malattia, dalla morte della moglie e dei suoi figlioletti, prostrò per qualche tempo il musicista.
Tuttavia, due anni dopo (nel 1842) ottenne il suo primo vero trionfo con il Nabucco. Con I Lombardi alla prima crociata (1843) la fama di Verdi acquistò stabili basi, non solo in Italia, ma anche all’estero. Seguì un periodo d’intensa attività creativa, che vide I due Foscari (1844), Emani (1844), Alzira (1845), Giovanna d’Arco (1845), Attila (1846), Machbeth (1847), I Masnadieri (1847), Il Corsaro (1848), La Battaglia di Legnano (1849), Luisa Miller (1849), Stiffelio (1850). Questi lavori sono, sul piano del rendimento artistico, molto oscillanti. Verdi stesso, in molte sue lettere, testimonia dello stato di disagio in cui si trovava durante la composizione di questi lavori: affrontati solo per tenere fede a impegni contrattuali, e quindi con scarsa convinzione. E anche la parte migliore dell’attuale critica verdiana è ben lungi dal riconoscere, a questi lavori, un pregio che, di fatto, non hanno. Ciò vale per le opere citate, a eccezione di Luisa Miller e dell’Ernani che, anche durante quegli anni oscuri, assicurarono al musicista la fama di artista più rappresentativo della musica italiana (specie dopo la morte di G. Donizetti).
Dal 1851 ebbe inizio la grande stagione verdiana. È di quell’anno Rigoletto, seguito, nel 1853, dal Trovatore e da La Traviata. E ancora: I Vespri Siciliani (1855), Simon Boccanegra (1857), Un ballo in maschera (1859), La forza del destino (1862), scritta per il teatro imperiale di Pietroburgo, il Don Carlos (1867), Aida (1871) per l’Opera del Cairo. Nel frattempo (1859) aveva sposato la soprano Giuseppina Strepponi, eccellente interprete delle sue opere. Nel 1874 apparve, in occasione della morte di Alessandro Manzoni, la Messa da Requiem; poi, per dieci anni, un lungo e completo silenzio. Nel 1887 una nuova concezione del melodramma balenò nell’Otello: concezione che, nel 1893, trovò la sua splendida conferma nel Falstaff. Dell’ultima produzione verdiana si ricordano i quattro pezzi di musica sacra (1898).
Il lungo silenzio di Verdi dopo l’Aida, non ha origini molto dissimili da quelle di G. Rossini: e cioè una sfiducia verso i moduli compositivi adottati per tutta la vita; per Rossini l’opera buffa, per Verdi il melodramma romantico. Il superamento di questa forma aprì una dimensione nuova al teatro lirico: una dimensione che, realizzata nel Falstaff, dimostra la nobile tenacia di un artista nel cavarsi fuori dalle pastoie di un’estetica ormai consumata, e consumata nelle sue precedenti opere. Le caratteristiche più importanti delle quali sono quelle che illuminano una primitiva schiettezza di sentire, un balenio teso a caratterizzare una situazione emotiva, uno scattante dinamismo che, ancor oggi, brucia lo spettatore con la forza della sua immediatezza. Appare interessante notare l’effetto delle individuazioni romantiche tedesche trasportate su un piano comunicativo che va a centrare un aspetto della ricettività dell’uomo medio italiano della seconda metà del XIX secolo. Un uomo medio di cui Verdi si fece rappresentante individuandone le passioni, sviluppandone le caratteristiche.