Curcio Medie

Espressione usata per la prima volta da un deputato del parlamento italiano nel 1873 per indicare la situazione critica del Mezzogiorno d’Italia, a seguito dell’unificazione nazionale.

Il Sud dell’Italia, dopo l’annessione del Piemonte al Regno delle Due Sicilie e allo Stato pontificio (1860-1861), versa in condizioni di totale arretratezza economica e sociale. La causa è da cercare anzitutto nell’apparato statale burocratico (v. burocrazia) e centralizzato in mano ai latifondisti (v. latifondo); altri ostacoli allo sviluppo sociale sono l’abolizione dell’uso comune delle terre, l’elevata tassazione, la coscrizione obbligatoria, e un pressante regime di occupazione militare. In reazione a tali condizioni avverse si sono verificati fenomeni criminali quali il brigantaggio, la mafia e la camorra; da allora si è inoltre avviata un’ondata di emigrazione significativa.

Le denunce contro il problema della questione meridionale sono state sollevate, già nei primi decenni del Novecento, da molti intellettuali e politici (non solo meridionali) che accusano il governo centrale di mantenere questa arretratezza per rinforzare il proprio controllo sul territorio e per favorire lo sviluppo dell’Italia settentrionale a scapito dei lavoratori meridionali.
La questione meridionale continua a stagnare anche negli anni delle due guerre (v. guerra mondiale, prima e guerra mondiale, seconda); solo nel 1950 viene promulgata una Cassa per il Mezzogiorno, primo strumento di sostegno e sviluppo per l’economia meridionale. Nella realtà dei fatti, questo metodo non fa che rafforzare il legame tra le classi locali più agiate e il governo centrale, mantenendo una situazione di dilagante povertà per la popolazione civile. Il distacco tra il Nord e il Sud del paese si accentua sempre di più, con la conseguente diffusione nel Meridione di organizzazioni criminali che si sostituiscono allo stato.