Curcio Medie

Nato inizialmente come semplice curiosità scientifica, alla fine del XIX secolo il cinema diventa strumento di documentazione capace di esprimere, con un proprio specifico linguaggio, gli aspetti della cultura contemporanea.

Il cinema nasce con i fratelli Lumière, ma è soltanto dopo la prima guerra mondiale che si sviluppa come strumento espressivo, come forma di spettacolo. Infatti, mentre i Lumière lo utilizzavano semplicemente come mezzo di ripresa per realizzare i loro film-documento senza alcuna regola di regia, seppure a livello embrionale, fu Georges Méliès, formato nel teatro di Robert-Houdin, simbolo dell’illusionismo, a comprendere le potenzialità del nuovo strumento e a pensare di metterle in atto. Inizia così anche per il cinema un modo nuovo di descrivere la realtà, non più fedele ripresa, ma immagine filtrata dalla sensibilità dell’artista. Attraverso l’uso delle tecniche di regia si sottolinea il punto di vista dell’autore.
Georges Méliès realizzò circa 500 film, di cui il più famoso è Il viaggio nella luna, ma era troppo legato a metodi artigianali e fu per questo che Charles Pathé, insieme a un gruppo di industriali, fondò una casa di produzione cinematografica. La casa di produzione ebbe un notevole successo incrementando il patrimonio iniziale, che era di due milioni di franchi, fino a 24 milioni di franchi. I lacrimosi cineromanzi furono sostituiti con film che incontravano maggiormente il gusto del pubblico e perciò venduti in tutto il mondo, si trattava di film umoristici, realistici e a sfondo sociale.
Anche in Inghilterra il mercato si estende, le sale cinematografiche (v. cinematografo) proliferano in tutto il mondo. Negli Stati Uniti dalle poche decine di sale nel 1905, si passa a 10.000 nel 1910.

Negli anni che vanno dal 1907-1908, il cinema in Europa attraversa un periodo di crisi, perché non riesce a raccogliere il consenso delle classi borghesi, che continuano a considerare ancora il teatro la più elevata forma di espressione artistica. Fu così che gli autori cinematografici iniziarono a importare dal teatro dei lavori con l’intento di trasformarli in film, e a chiedere anche agli scrittori il loro contributo per la realizzazione di film di più elevato livello artistico.
In Francia proliferano i film comici, con personaggi come i bambini terribili. Max Linder crea un personaggio così famoso da farlo considerare il primo vero divo dello schermo, precursore dell’arte di Chaplin.
Anche in Italia l’industria cinematografica prolifera. Sono tre le case di produzione: la Cines, L’Ambrosio di Torino e l’Itala film. Vengono prodotti film di argomento storico, per lo più ambientanti nel periodo romano-classico. Fra i più famosi, Cabiria di Pastrone (1913) con la collaborazione di Gabriele D’Annunzio. In questo periodo la massima espressione artistica nel cinema italiano la troviamo in Sperduti nel buio di Martoglio (1914), che porta in sé i germi di quello che sarà il neorealismo in Italia.
La prima guerra mondiale porta al un declino il cinema d’arte europeo, per lo più impegnato a fare cinema di propaganda. Prolifera invece la produzione cinematografica degli Stati Uniti. Alcuni produttori indipendenti, a partire dal 1914, fanno di un sobborgo di Los Angeles la sede delle loro case di produzione, nasce Hollywood dove si affermano registi del calibro di David W. Griffith, che realizza film come La nascita di una nazione (1914-1915) e Intollerance (1916). Il cinema americano dà vita a una comicità astratta piena di trucchi e di gags. Si apre l’era delle torte in faccia e dei film in cui prevalgono le belle ragazze, ma soprattutto si affacciano sullo schermo Buster Keaton e Charlie Chaplin.

In Europa, nel dopoguerra, il cinema comincia a coinvolgere anche gli intellettuali, che in precedenza avevamo mostrato una certa diffidenza. Nel 1911, in Francia, Ricciotto Canudo battezza il cinema «la settima arte». Nasce in Francia il movimento dell’Estetismo e del cinema sperimentale di cui Delluc fu il teorico. Delluc sosteneva l’autonomia del linguaggio cinematografico e l’importanza della fotogenia. Suoi film importanti furono Fièvre (1921) e La femme de nulle part (1922).

In Germania si sviluppa l’Espressionismo tedesco che pone l’accento sulla visione soggettiva che il regista doveva dare della realtà, film esemplari di questo movimento sono Il gabinetto del dottor Caligari (1919) di Wiene e Nosferatu il vampiro (1922) di F. W. Murnau. In questi anni Fritz Lang realizza Destino (1921) e Dottor Mabuse (1922).
Sebbene in Europa assistiamo a un momento aureo nella produzione cinematografica, in America, dopo il tramonto di Griffith, si cerca di mantenere una certa vitalità, facendo appello a registi stranieri. Si sviluppa il fenomeno del divismo con Rodolfo Valentino. Vengono prodotti film d’avventura, film western e soprattutto di genere comico, genere nel quale si impose Chaplin con film come Il monello (1920) e La febbre dell’oro (1925).

In Europa nascono le avanguardie che auspicano il ritorno a un cinema puro, astratto, lontano dalle contaminazioni di tipo contenutistico, un cinema fatto di immagini e ritmo. Le opere più importanti in Francia sono Entr’acte di René Claire (1924), Il balletto meccanico (1924) di Léger.
Verso la fine del periodo si affacciano autori come Buñuel con Un chien andalou ( 1928) e Dalì con L’âge d’or (1930). In Germania autori avanguardisti sono Viking Eggeling e Hans Richter.
Un contributo importante al cinema d’arte europeo lo apportò in quegli anni il regista danese Dreyer, che in Francia girò la Passione di Giovanna d’Arco (1927-1928), una delle opere più importanti della storia del cinema in cui la regia, con i suoi espedienti tecnici, riusciva a creare un’atmosfera particolarmente suggestiva, rendendo evidenti persino i sentimenti dei personaggi. A questo film si ispirarono tutte le correnti cinematografiche europee.
In Germania l’espressionismo sfociò in un realismo spietato che rivolgeva meticolosa attenzione alla psicologia dei personaggi, riflesso della condizione umana. Il maggiore esponente di questa corrente è G. W. Pabst che realizza tra gli altri La vita senza gioia (1925) con Greta Garbo, ma non si può ignorare l’opera di Fritz Lang che nel 1926 realizza Metropolis.

Mentre in Europa l’attenzione è più concentrata verso i richiami di tipo psicologico, in America si continuano a cercare soprattutto gli effetti speciali che vanno a rendere spettacolari film come Ben Hur di Cecil B. De Mille (1926) e, nel 1925, l’acclamato La grande parata, film di guerra di King Vidor. Fra i registi americani spicca John Ford, che cerca di rinnovare il film western con Il cavallo d’acciaio (1924).

In Russia, soltanto dopo la rivoluzione del 1917, si assiste a una fioritura della cinematografia che, prima di allora, era stata asservita a un puro servizio di propaganda. Dopo il 1922 si forma una scuola di cinema che vede in Ejzenštejn il suo esponente principale. La sua Corazzata Potëmkin (1925) è un esempio per l’abilità con cui è effettuato il montaggio e per la forza espressiva delle immagini.

Nell’ottobre 1927, il film musicale americano Il cantante di jazz di Alan Crosland impone il film sonoro. L’entusiasmo per il cinema sonoro però non è condiviso da tutti. In Europa grandi maestri del calibro di Chaplin, Ejzenštejn, Clair oppongono delle resistenze, condannando la parola in nome dell’arte. Ma il film sonoro spopola, aiutando il cinema a superare la crisi economica che stava vivendo. Il successo è totale quando, mediante la tecnica del doppiaggio, vengono superate le barriere di tipo linguistico (v. lingua). A quel punto il film americano spopola. Nasce lo star system, di cui la massima espressione è Greta Garbo che interpreta film come Mata Hari (1932) e poi Clark Gable, Joan Crawford, solo per citarne alcuni. Vengono prodotti anche film drammatici, ma sono i film d’evasione che riscontrano il successo del pubblico.
Nasce il film-rivista nello sfarzoso sfondo del music-hall e tra divi del periodo ritroviamo Fred Astaire e Ginger Rogers, la famosa coppia di ballerini.
Dal sonoro trae vantaggio il film western, che in Ombre Rosse (1939) di John Ford vede il suo capolavoro, ma proliferano anche i film-gangster e i film drammatici con sfondo sociale che vedono in Fritz Lang, emigrato in America dalla Germania, il maestro più grande e i film di guerra. Nel genere comico riprende vitalità Charlie Chaplin che, con l’avvento del sonoro, era entrato in crisi fermandosi per circa quattro anni. Nel 1931 realizza Le luci della città e nel 1936 Tempi moderni, ma in Chaplin il sonoro rimane soltanto una parte marginale del film, che prevalentemente rimane muto. Appaiono attori dalla comicità più facile come Stan Laurel e Oliver Hardy, o dalla comicità fredda e basata sul paradosso come i Fratelli Marx.

In Germania gli inizi del cinema sonoro furono caratterizzati da film di notevole livello artistico, che prestavano particolare attenzione all’aspetto psicologico, Pabst nel 1930 gira il suo film più convincente Westfront (1918), film sulla guerra. Particolare attenzione viene mostrata anche agli aspetti sociali con L’opera da tre soldi di Bertolt Brecht, film di satira grottesca del 1931. In quegli anni Sternberg realizza L’angelo azzurro, il suo capolavoro, con Marlene Dietrich (1930), e Fritz Lang gira il suo ultimo film in patria prima di trasferirsi in America M (Il mostro di Düsseldorf ) del 1931.
Con l’avvento del nazismo il cinema ha una battuta d’arresto, perché Hitler piega il cinema costringendo i registi a realizzare film senza impegno o di propaganda politica. È per questo che molti registi lasceranno la Germania.

Il 1931 segna anche il risveglio del cinema francese. René Clair realizza i suoi capolavori: A me la libertà (1931), 14 luglio (1932), L’ultimo miliardario (1934), e i due film girati in Inghilterra Il fantasma galante (1935) e Vogliamo la celebrità (1937). Gli anni difficili che l’Europa sta vivendo, fanno sì che il cinema francese diventi sensibile alla precarietà della sofferta condizione umana. Il verismo, che domina nelle opere letterarie, è parte integrante anche del cinema francese, ma qui assume una visione particolarmente pessimista, sono di questi anni i film di Jean Renoir di cui La grande illusione (del 1937) è il capolavoro assoluto. Altro grande esempio di cinema d’autore è Marcel Carné che, dopo un esordio con il film-documentario, diventa un maestro di cinema naturalista con tre grandi film: Il porto delle nebbie (1938), Albergo Nord (1938) e Alba tragica (1939) che vedono la collaborazione del poeta Prévert, autore delle sceneggiature.

Il cinema sovietico con l’avvento del sonoro ha un momento di stasi. Giunto in ritardo in Urss, il sonoro viene accolto con scarso entusiasmo dai registi sovietici, in parte a causa della censura operata dalla dittatura di Stalin. Ejzenštejn, che si era trasferito in America, al suo ritorno in patria realizza, nel 1938, Alessandro Nevskij, film di grande vigore. Interessanti appaiono Le notti bianche di San Pietroburgo di Rošal’ (1933) e L’infanzia di Gorki di Donskoj (1938).
In Italia, dopo un periodo di pausa creativa durato circa dieci anni, nel 1930 si ha un periodo di fioritura culturale con il cinema dei telefoni bianchi, così detto perché nelle scene dei film c’è sempre un telefono bianco a dare l’idea dello sfarzo, in un periodo in cui predominavano invece i telefoni neri. Sono tre i registi principali di questo periodo: Alessandro Blasetti, Mario Camerini e Augusto Genina. Blasetti propone un cinema di maggiore impegno ideologico, Un’avventura di Salvator Rosa (1940) è il suo miglior film. Camerini, regista dal gusto più raffinato, realizza film dal contenuto intimista, sono suoi Gli uomini che mascalzoni (1932) che vede la presenza di Vittorio De Sica come attore, e Il signor Max (1937). Genina sceglie di fare film eroici senza eccedere nella retorica un esempio Lo squadrone bianco (1936).
Anche in Inghilterra c’è una certa attività dopo la pausa della prima guerra mondiale, ma le opere migliori sono fornite soprattutto da registi stranieri, è il caso di René Clair, King Vidor e di Alexander Kordam, un ungherese emigrato a Londra. Ma la produzione migliore è di un regista inglese, Alfred Hitchcock, che realizza I 39 gradini (1935) e Sabotaggio (1936), dove è palese il suo gusto per il giallo.
Il secondo conflitto mondiale (v.guerra mondiale, seconda) non interrompe il flusso creativo, come inizialmente si temeva, ma altera le tendenze. Gli orrori della guerra fanno orientare i registi verso un cinema che si allontana dalla realtà, viene così abbandonato il verismo a favore di un cinema che va a scavare nel fantastico. I film più rappresentativi di questo nuovo modo di fare cinema sono L’amore e il diavolo (1942) e Amanti perduti (1945) di Carné, che si è staccato dalla corrente verista. Intanto si affaccia nel panorama francese un giovane autore dal gusto raffinato Robert Bresson con il suo Perfidia (1944). In questo periodo spesso scrittori e poeti collaborano con i registi: Prévert con Carné, Cocteau con Bresson, solo per citarne alcuni; mentre un’altra corrente si sviluppa, quella del cinema nero, che in Clouzot ha il suo autore più rappresentativo, suo è Il corvo del 1943.

In America la produzione continua e prospera nonostante la perdita dei mercati europei. Chaplin realizza Il dittatore (1940) opera di grande satira politica; John Ford si diletta con trasposizioni di opere letterarie, tra i suoi film Com’era verde la mia valle del 1941; ma è William Wyler che si conferma uno dei maggiori talenti di Hollywood con film come Ombre malesi (1940) e Le piccole volpi (1941). Nel frattempo numerosi registi europei avevano lasciato l’Europa, tormentata dagli orrori del nazismo, e si erano trasferiti in America, tra essi Alfred Hitchcock che si conferma re del film del mistero con i suoi Rebecca, la prima moglie (1940), Il sospetto (1941), L’ombra del dubbio (1942), Io ti salverò (1945) Notorius (1946).
In quegli anni anche ai registi americani viene richiesto di realizzare opere di contenuto propagandistico, così per esempio Frank Capra, dopo il suo Arsenico e vecchi merletti (1944), realizza il montaggio di Perché combattiamo (1942-1944).
Ma un momento di capolavoro assoluto è Quarto potere, del 1941, di cui Orson Welles è regista e attore, opera satura di simbolismo, originale nella tecnica e nell’impostazione narrativa.
Il periodo della seconda guerra mondiale vede affermarsi in Italia il neorealismo, sull’onda della corrente verista francese, Quattro passi fra le nuvole (1942) è un’opera felice di Alessandro Blasetti. Luchino Visconti realizza Ossessione (1942); Roberto Rossellini il suo primo film La nave bianca (1941); Vittorio De Sica I bambini ci guardano (1943); Renato Castellani Un colpo di pistola (1941) e Zazà (1942). Altri film di rilievo sono Piccolo mondo antico (1940) e Malombra (1942) di Mario Soldati, Giacomo L’idealista di Lattuada, Le sorelle Materassi (1942) e Il cappello da prete (1943) di Poggioli.
Il cinema inglese del dopoguerra viene fuori da un’ampia produzione di cortometraggi, in quel panorama si affacciano registi come Carol Reed di E le stelle stanno a guardare (1940), ma soprattutto è di quel periodo l’esordio alla regia di Laurence Olivier che dirige Enrico V (1944) e, sulla stessa onda, Amleto nel 1948 e Riccardo III nel 1959, affreschi shakespeariani che danno luogo a una delle più belle pagine di opere classiche trasformate in cinema.
L’humor sottile e paradossale che è proprio del carattere degli inglesi si ritrova in film come Sangue blu di Robert Hamer (1949).
Il dopoguerra in Germania non produce opere di particolare spessore culturale.
Nel nord Europa il grande Dreyer dirige Dies Irae (1943), film ispirato da un atto di stregoneria del XVII secolo, che si consacra a capolavoro del grande schermo, e nel 1954 Ordet un film profondo che narra la storia di un miracolo. Nel panorama del cinema svedese si affaccia il grande Ingmar Bergman e nell’Unione Sovietica Ejzenštejn, nel 1945, termina il suo Ivan il terribile, capolavoro che segna il passaggio verso il formalismo estetico.

Il cinema americano, sull’onda delle nuove correnti europee e soprattutto sulle tracce del neorealismo, si trova a vivere una nuova rinascita. Fautori di questo nuovo risveglio furono le due figure che seppero esprimere, attraverso la loro opera, tutto il loro genio artistico, Elia Kazan le cui opere più importanti sono Un tram che si chiama desiderio (1951) e la sua più matura Fronte del porto (1954) e John Huston con il suo Giungla d’asfalto, un classico del cinema americano.
Continua la produzione di film western con John Ford che, tra gli altri, realizza Il massacro di Fort Apache (1948); ma si inaugura un nuovo filone di film western dove il protagonista non è un uomo violento, ma un eroe pacifico che si trova a uccidere a malincuore. Film esempio di questo filone Il cavaliere della valle solitaria di G. Stevens.

La commedia leggera continua ad avere una certa fama. Frank Capra continua a produrre film come La vita è meravigliosa (1946) e Billy Wilder propone Sabrina con Audrey Hepburn e Humphrey Bogart (1954). Il successo di Chaplin sembra essere al giunto al tramonto, ma Luci della ribalta (1952) ritrova tutta quella fortuna che era appartenuta al regista in passato. Hitchcock continua a produrre film di successo come La finestra sul cortile (1953) e Orson Welles si cimenta con la trasposizione di opere teatrali quali Macbeth (1948) e Otello (1951).
Negli anni del dopoguerra il cinema francese vede l’imposizione sulla scena di nomi nuovi che attirano l’attenzione: Claude Autant-Lara autore del Diavolo in corpo (1946); H. G. Clouzot, maestro del cinema nero, realizza tra le altre cose Manon (1949); Bresson realizza la sua opera più ispirata Diario di un curato di campagna (1950). René Clair continua a produrre film di grande successo tra cui Il silenzio è d’oro (1947), da molti ritenuto il suo capolavoro e, mentre Renoir alterna momenti di declino a momenti di successo, Carné realizza Giulietta e la chiave dei sogni (1951) e Teresa Raquin (1953).
In quegli anni Duvivier gira in Italia la fortunata serie di Don Camillo (1951-1953); Jean Cocteau La bella e la bestia del 1946 e l’Orfeo del 1950.
Il cinema sovietico del dopoguerra vede una maggiore libertà per quanto riguarda la scelta dei temi da trattare, per citare qualche titolo La ballata di un soldato di Ciukrai e Quando volano le cicogne di Kalatozov e L’infanzia di Ivan di A. Tarkovsky (1962).
In Italia gli anni che seguirono la crisi del neorealismo, dal 1956 al 1959, non furono particolarmente prolifici, a parte pochi film di valore come Il tetto di Vittorio De Sica (1956), Il ferroviere di Pietro Germi (1956), I soliti ignoti (1958) e La grande guerra (1959) di Mario Monicelli, non ci furono cose grandissime, sembrava che dopo il neorealismo fosse impossibile ricostituire una corrente così importante come quella che aveva portato la cinematografia italiana in tutto il mondo.
Tuttavia in quegli anni stavano affacciandosi sulla scena due registi emergenti che avrebbero cambiato il modo di fare il cinema sia in Italia che nel mondo: Michelangelo Antonioni e Federico Fellini. Nati in pieno periodo neorealista (v. neorealismo) Antonioni e Fellini da quel movimento presero le distanze, alla ricerca di un modo di fare cinema che fosse attento ai drammi psicologici dell’uomo, in eterno contrasto con se stesso.
Michelangelo Antonioni è il regista dell’incomunicabilità, del disagio umano, dell’alienazione dell’uomo, della sua impossibilità di comunicazione con i propri simili, tematiche che emergono nei suoi tre film che fanno parte di una trilogia: L’avventura (1960), La notte (1960), L’eclisse (1961).

Federico Fellini, che aveva fatto il suo esordio con film come Lo sceicco bianco (1951) e I vitelloni (1953), che offrivano uno spaccato in chiave satirica della società del tempo, si dedica adesso a film dalle ampie tematiche psicologiche, affrontate con un linguaggio che è imperniato di pura poesia, sono di quegli anni La strada (1954), Le notti di Cabiria (1956), La dolce vita (1959), fino ad arrivare a momenti pura introspezione psicologica con Otto e mezzo (1962).
Film che affrontano tematiche puramente sociali sono quelli di Francesco Rosi, La sfida (1958) e Salvatore Giuliano (1961); quelli di Antonio Pietrangeli, che attingono dai fatti di cronaca, Io la conoscevo bene (1965) e di Gillo Pontecorvo La battaglia di Algeri (1966).
Pietro Germi continua a produrre film di successo come Divorzio all’italiana (1961) e Sedotta e abbandonata (1964); Vittorio De Sica realizza Ieri, oggi, domani (1963); e Luchino Visconti continua a produrre capolavori come Il gattopardo (1962), Vaghe stelle dell’orsa (1965).

Un caso a parte è quello di Pier Paolo Pasolini, regista intellettuale, che arriva al cinema dalla letteratura con film estremamente vicini alle tematiche sociali e allo stesso tempo ricchi di rimandi psicoanalitici. Pasolini è uno degli autori più controversi della storia del cinema italiano, i suoi film, sempre perseguitati dalla censura per le immagini e i contenuti, che colpiscono duro lasciando il segno, rappresentano uno dei momenti più elevati della storia del cinema. Di quegli anni Accattone (1961), Il vangelo secondo Matteo (1964), Uccellacci uccellini (1966).
In Francia la nouvelle vague, che non a caso significa «nuova ondata», rappresenta il desiderio di cambiamento del cinema francese. Partendo dal filone verista, riflette i desideri delle nuove leve di registi che, partendo dalla crisi politica di quegli anni, cercano un modo per ricostruire una nuova visione della vita, una nuova moralità. Il film aspira ad arrivare ai livelli alti del romanzo, la cinepresa è perciò la penna del regista. I risultati sono fortemente idealisti, si crea una visione della realtà che molto si distacca dalla realtà stessa. Quello della nouvelle vague è un cinema anticonformista, a tratti anche aggressivo. I registi che rappresentano questa corrente sono Alain Resnais Hiroshima, mon amour (1958) e L’anno scorso a Marienbad (1961); Truffaut I 400 colpi (1959), Jules e Jim (1962), Fahrenheit 451 (1966); Claude Chabrol Le beau Serge (1958).

Una pagina importante della storia del cinema è quella scritta dal cinema giapponese che propone un nuovo modo di fare il film, sconosciuto alle cinematografie europee. Tutto è concentrato nella potenza delle immagini che contengono tutta la violenza e la sacralità dei simboli tipici delle culture orientali. Maggiore esponente di questa cinematografia è Akira Kurosawa che, con il suo I sette samurai (1953), offre una possibilità del tutto nuova di leggere il film.
Il cinema americano degli anni Cinquanta e Sessanta è un cinema anticonformista, che si esprime con registi d’eccezione quali Kubrick con il suo Orizzonti di gloria (1958) e Il dottor Stranamore (1963); Sidney Lumet con La parola ai giurati (1956), La collina del disonore (1965). Persistono i film spettacolari come Ben Hur di Wyler (1959), o Il dottor Zivago (1965) e Lawrence d’Arabia di Lean (1962).

Il cinema svedese è rappresentato dalla figura di Ingmar Bergman che, sulla scia di Dreyer, rappresenta un cinema che attinge spunti psicoanalitici a piene mani e si nutre di quelle che sono le angosce che appartengono allo stesso regista: la paura della morte, l’angoscia e l’incertezza del nulla, la ricerca della figura divina e, allo stesso tempo, l’incertezza e l’insicurezza che essa dà all’uomo. Di Bergman Sorrisi di una notte d’estate (1955), Il settimo sigillo (1957) Il posto delle fragole (1958), Il volto (1959), La fontana della vergine (1960), Come in uno specchio (1961).
Il decennio che va dagli anni 1965-1975 dà al cinema una spinta verso un altrove che non si riconosce più dentro limiti e costruzioni di ogni sorta. C’è una volontà decisa di uscire anche dai confini nazionali. Sono di questo periodo le grandi coproduzioni internazionali, inoltre i registi vanno a dirigere i propri film all’estero, cercando di spogliarsi da ogni connotato puramente nazionale.

In questo decennio il cinema italiano vive un momento di grande splendore, Federico Fellini è al culmine della sua carriera che lo ha portato ad Amarcord nel 1973; Luchino Visconti continua a essere il raffinato e decadente illustratore di microcosmi familiari La caduta degli dei (1969), Morte a Venezia (1971); Michelangelo Antonioni procede a fasi alterne non confermando sempre il successo ottenuto con Blow-up. De Sica porta nelle sale Il giardino dei Finzi Contini (1970) e Pasolini esce con la sua trilogia Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1973) e Il fiore delle mille e una notte (1974).
Elio Petri vede confermata la sua ascesa verso il successo con film del tipo Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto (1970), La classe operaia va in paradiso (1971).
Nel 1970 l’Italia era appena uscita dal ‘68, aveva assistito incredula alla strage di Piazza Fontana e si ponevano le basi per quelli che sarebbero stati gli anni di piombo. Il cinema irrimediabilmente rispecchia nelle sue opere le incertezze di quegli anni. Non può fare a meno di esprimerle per esorcizzarle in qualche modo. In quel clima si affaccia un regista come Dario Argento, con un genere che esce fuori dai canoni artistici del cinema italiano: nasce il thriller con veri e propri capolavori come L’uccello dalle piume di cristallo (1969), Il gatto a nove code (1970), Quattro mosche di velluto grigio (1971).
In pieno clima di contestazione, di desiderio di rompere con il passato, escono I pugni in tasca (1965), Nel nome del Padre (1972) di Marco Bellocchio; Bernardo Bertolucci scandalizza le platee con il suo Ultimo tango a Parigi (1972); Liliana Cavani si scaglia contro ogni conformismo con il suo Galileo (1968) e con Il portiere di notte (1974); ma il fenomeno più interessante è costituito da Marco Ferreri, regista che con tutta la sua rabbia si scaglia contro il consumismo che corrode la civiltà, suoi L’ape regina (1963), La donna scimmia (1964), fino ad arrivare ai suoi più alti momenti di cinismo con La grande abbuffata (1973).
Nelle nuove leve troviamo Ermanno Olmi e i fratelli Taviani la cui opera è estremamente politicizzata.
Importanti le dissacranti trasposizioni teatrali di Carmelo Bene con Nostra signora dei turchi (1968), Salomè (1972). Dal mondo del teatro arriva Franco Zeffirelli che, lontano dai toni aspri di Carmelo Bene, dà vigore figurativo alle sue trasposizioni teatrali: La bisbetica domata (1967); Romeo e Giulietta (1969).
Il cinema italiano continua a brillare quando affronta argomenti di satira di costume, specialisti nel genere sono Mario Monicelli, Dino Risi, Luigi Zampa e Luigi Comencini.
Infine negli anni Settanta un nuovo genere arriva in Italia: il western all’italiana, di cui il massimo esponente è Sergio Leone Per un pugno di dollari (1964), Il buono, il brutto, il cattivo (1966), Giù la testa (1971).
Nel 1965 inizia la crisi della nouvelle vague. La crisi inizia quando si allontana il suo maggiore esponente Alain Resnais che con La guerra è finita (1966) realizza un film politicamente impegnato, e soprattutto quando inizia la fase politica di Godard Due o tre cose che so di lei (1966). In quegli anni Lelouch diventa uno dei registi più brillanti, ma la sua produzione non riesce sempre a mantenere gli stessi livelli di successo Vivere per vivere (1967), L’avventura è l’avventura (1972), Tutta una vita (1974), per citare alcuni titoli. Alfieri del cinema francese come Truffaut e L. Malle proseguono con impegno la loro attività, mentre Chabrol inserisce nei suoi film degli spunti gialli con inserimenti a sfondo psicologico Il tagliagole (1970), L’amico di famiglia (1973).
Nelle nuove generazioni spicca l’opera di Clude Sautet che affronta con raffinata eleganza argomenti di tipo intimistico L’amante (1970); e quella di Costa-Gravas, regista di origine greca che lavora in Francia, autore di film di denuncia come Z, l’orgia del potere (1969).

Il cinema americano, verso il 1965, attraversa un periodo di crisi. I registi della vecchia guardia sembrano accusare una certa stanchezza e non trovano motivazioni per produrre nuove cose, i produttori non investono più e, cercando di risparmiare, pensano sempre di più di realizzare altrove i loro film, molti teatri di posa chiudono i battenti.
Si ripetono quei generi che hanno fatto la fortuna del cinema americano come i musical, i film western, ma in questo scenario alquanto deprimente qualcosa si accende. Vengono alla luce una serie di film dove l’America è vista con gli occhi dei padri e dei nonni Il grande Gatsby (1974) di Jack Clayton, film di argomento mafioso, di grande successo commerciale; Il Padrino di F. Coppola (1972); e ancora, il vecchio musical viene rivisitato in chiave moderna in Jesus Christ Superstar (1973) di N. Jewison, con richiami alle tematiche sociali. In questi anni spicca prepotente la figura di Kubrick che nel 1968 realizza il suo capolavoro 2001, Odissea nello spazio; Roman Polanski, regista di origine polacca trasferitosi in America, realizza Rosemary’s Baby (1968), un grande e suggestivo film noir; Robert Altman realizza M.A.S.H. (1970) originale film satirico.
Nella satira si impone Woody Allen, che nelle sue produzioni fonde la comicità vecchio stampo con una satira mordace della società americana, Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso (1972), Il dormiglione (1973), sono sue produzioni di quegli anni.
Anche in America, insieme al genere poliziesco di cui un esempio è Scorpio (1973) o Il giustiziere della notte (1974), esiste un cinema delle avanguardie underground che vede come esponenti maggiori Andy Warhol e P. Morrisey.

Il cinema inglese negli anni dal 1965-1975 vive un periodo felice. Il movimento Free Cinema, nato nel 1956, esprime un periodo di grande vivacità culturale. Fortemente anticonformista, produce film di denuncia satirica, pur mantenendo quella che era la caratteristica del cinema inglese e cioè fare film intimisti. Molti autori teatrali decidono di cimentarsi con il cinema. Tra i registi che appartennero al movimento: Jack Clayton e John Schlesinger che, negli Stati Uniti, realizza, nel 1969, il film che lo consacra a fama mondiale Un uomo da marciapiede; Ken Loach impegnato in film a sfondo politico e sociale Family life (1972), J. Mackenzie Morte di un professore (1971). Regista di cinema occasionale è il grande maestro teatrale Peter Brook, che traspone l’opera di P.Weiss Marat-Sade nel 1967.
Il cinema tedesco non ha grandi nomi se non quelli già affermati negli anni precedenti nella Germania Occidentale: A. Kluge, Una ragazza senza storia (1966), regista e scrittore affermato; R. W. Fassbinder Perché esce matto il signor R? (1969) e P.Fleischmann Scene di caccia in Bassa Baviera (1969).

Nel cinema spagnolo emerge L. Buñuel, che poteva essere considerato un regista del mondo, perché aveva girato i suoi film in vari posti, L’angelo sterminatore (1962) è girato in Messico. Suoi capolavori sono Bella di giorno (1967), Il fascino discreto della borghesia (1972). Altro nome da segnalare è Carlos Saura con La caccia (1966), Anna e i lupi (1971).
A partire dagli anni Settanta, alcuni cambiamenti sociali saranno la causa di una nuova crisi che porterà a un cambiamento nel modo stesso di fare il cinema: si diffonde il possesso della televisione tra la gente, e nascono le prime televisioni private. Queste ultime iniziano a inserire all’interno delle loro programmazioni la trasmissione di film, anche contravvenendo alle regole sui diritti d’autore. A completare l’opera di distruzione del cinema, la diffusione delle videocassette, registrate anche in maniera illegale, che permettono alla gente di vedere i film anche rimanendo in casa. È così che le sale si svuotano e, per coprire le spese, i prezzi dei biglietti salgono. In questo clima il problema che le case di produzione si pongono per superare la crisi, è quello di riportare il pubblico in sala, per questo si comincia a fare film basati essenzialmente sulla moda del momento, senza prestare attenzione alla qualità. Escono film d’evasione di bassissima lega interessati solamente a far presa sulle masse, proliferano i film a sfondo erotico, si approda addirittura al film porno oppure si cerca di realizzare film che, se visti attraverso il piccolo schermo televisivo, avrebbero perso tutto il loro fascino, si tratta per lo più di film d’avventura o di film di fantascienza, che convincono il pubblico a ritornare al cinema.
Questo genere di crisi non arriva in America, perché la gente non subisce la sudditanza televisiva.
L’arrivo della nuova tecnologia e del dvd per certi aspetti non migliorerà le cose, perché la possibilità di vedere in casa un film, mantenendo elevata la qualità della propria visione, non invoglierà la gente a uscire da casa. Tuttavia il digitale porterà un modo diverso di fare il cinema.
In America nascono le produzioni indipendenti promosse talvolta da attori famosi.
In Italia si conferma il cinema dei grandi autori. Fellini, che non segue alcuna scuola se non il suo personalissimo modo di fare film che lo ha già consacrato maestro in tutto il mondo, continua a fare film come Casanova (1976), Prova d’orchestra (1978), La città delle donne (1980), E la nave va (1984), Intervista (1987), fino al suo ultimo La voce della luna (1987). Antonioni che con Indentificazione di una donna (1982) è tornato a uno stile esistenzialista; Ermanno Olmi che unisce cinema e poesia, suoi tra gli altri L’albero degli zoccoli (1978) Lunga vita alla signora (1987).
Marco Bellocchio continua a fare i suoi film intrisi di psicoanalisi e intimismo, mentre Bertolucci si dedica a produzioni colossali come L’ultimo imperatore (1987), vincitore di nove premi Oscar. Anche Marco Ferreri continua a produrre i suoi film apocalittici, oscura metafora della nostra inadeguatezza nei confronti della società sempre più cannibalizzata; Liliana Cavani è ancora presente nella scena italiana con il suo cinema dissacrante e i fratelli Taviani fanno incetta di premi con i loro film: Padre padrone (1977) vince la Palma d’oro a Cannes e La notte di San Lorenzo (1982) sempre a Cannes ottiene il premio speciale della giuria.

La vecchia commedia all’italiana continua a esistere con il conclamato Monicelli, che realizza tra gli altri Amici miei (1975) e Amici miei atti II (1982); Dino Risi continua a produrre film tra cui Profumo di donna del (1975).
In questo panorama che vede per lo più nomi che sono già diventati grandi nel decennio precedente, si affacciano nuove personalità, tra tutti spicca la figura di Nanni Moretti che, nelle sue pellicole imprime le caratteristiche e le contraddizioni di una società che ormai ha perso ogni sicurezza nei confronti di se stessa Io sono un autarchico (1976), e ormai va verso la deriva ricercando quel po’ di normalità attraverso la psicoanalisi Sogni d’oro (1981). Il cammino di Nanni Moretti va oltre, da film come La messa è finita (1985) dove protagonista è un prete che non ha fede, si arriva a produzioni più intime o intimiste come Caro diario (1993) e La stanza del figlio (2001).
Nomi importanti sono ancora Ettore Scola, che si impone con film raffinati come Una giornata particolare (1977); Giuseppe Tornatore che con Nuovo cinema paradiso (1988) vince l’Oscar; Gabriele Salvatores; Carlo Verdone che nelle sue commedie dipinge il ritratto dell’italiano medio; Gianni Amelio che spesso nei suoi film esprime il disagio; Pupi Avati che racconta piccole storie come si racconterebbe una favola; Francesca Archibugi regista attenta alle problematiche dei bambini.
Autore di commedie esilaranti è Roberto Benigni che vince l’Oscar con La vita è bella nel 1997. Registi di grande talento sono ancora Paolo Sorrentino, Matteo Garrone, Gabriele Muccino, Daniele Lucchetti, Carlo Mazzacurati, autori che hanno contribuito a esportare il cinema italiano nel mondo.

Il cinema francese non riesce a mantenere il passo con gli anni d’oro della nouvelle vague, ma il cinema francese non subisce la crisi che è stata propria del cinema italiano, perché il pubblico in sala è sempre presente e lo stato non lesina i suoi contributi, che riescono a ottenere anche i registi stranieri che lavorano in Francia. Gli autori più in vista continuano a essere quelli del passato François Truffaut, Louis Malle e Alain Resnais. Claude Sautet prosegue nella sua ascesa con film come Un cuore in inverno (1992) e Bertrand Tavernier realizza piccoli gioielli come Daddy Nostalgie (1990). Un caso a parte è da riservare a Eric Rohmer autore tra gli altri del Raggio verde (1986) Leone d’oro a Venezia. Claude Lelouch riscuote un grande successo di pubblico con Bolero (1981); Jean-Luc Godard continua a produrre film facendo delle scelte stilistiche che ne fanno un regista di nicchia e mai banale, per citare alcuni suoi titoli: Prénom: Carmen (1982), Nouvelle Vague (1990), Forever Mozart (1997). Infine, ancora proveniente dalla nouvelle vague, Clude Chabrol con i suoi film dal vago contenuto noir: Un affare di donne (1988), L’inferno (1993), Grazie per la cioccolata (2000).
Tra i nuovi sono da ricordare Léos Carax autore de Gli amanti del Pont-Neuf (1991), Jean-Jacques Annaud autore de Il nome della rosa (1986) dal romanzo di Umberto Eco; Luc Besson autore di Léon (1994) e de Il quinto elemento (1997). Rivelazione è da considerarsi Jacques Audiard, che con il suo Il profeta (2009) si è candidato miglior film straniero agli Oscar.
Il cinema americano a partire dagli anni settanta va incontro a una ripresa produttiva, le grandi società di produzione non hanno più il monopolio, perché piccole realtà indipendenti riescono a farsi strada con le loro produzioni che contribuiscono al risveglio della cinematografia americana.
L’obiettivo principale è il successo commerciale per cui si cerca di produrre film che avrebbero incontrato il successo del pubblico, pertanto i film della fantascienza continuano a spopolare nelle sale con grandi successi come Guerre stellari (1977) di George Lucas, Incontri ravvicinati del terzo tipo (1977) di Steven Spielberg, solo per citarne alcuni. Spielberg è un grande regista che, sull’onda dell’esigenza del momento, al film di fantascienza aggiunge elementi fiabeschi dando vita a produzioni di grande successo come I predatori dell’arca perduta (1981), E.T. - L’extraterrestre (1982), Indiana Jones e il tempio maledetto (1984). L’introduzione del digitale (v. analogico e digitale) e degli effetti speciali non fa che assecondare l’esigenza di rendere il film spettacolare, ne è un esempio il film campione d’incassi e vincitore di 11 premi Oscar Titanic (1997) di James Francis Cameron.
Di questo stravolgimento cinematografico, dettato dall’inserimento del digitale che ha cambiato il modo di fare gli effetti speciali nel cinema, Spielberg si è fatto protagonista, perché ha saputo unire il perfezionismo tecnologico a storie che di grande impatto emotivo, è il caso di Schindler’ List (1993) e di Salvate il soldato Ryan (1998).
I film catastrofici hanno un deciso impatto sul pubblico, e il cinema americano ha saputo creare gli esempi migliori riuscendo a suscitare un clima di crescente tensione psicologica. Pellicole come Apocalipse Now (1979) di Francis Ford Coppola, il regista che ha saputo scrivere pagine di storia americana; Il cacciatore di Michael Cimino (1978), Full metal Jacket (1987) di Stanley Kubrick, Platoon (1987) di Oliver Stone, si possono considerare veri e propri capolavori di denuncia sugli orrori che la guerra in Vietnam era riuscita a seminare.
I film kolossal rappresentano il genere in cui l’America si specializza, e tutti i più grandi registi si cimentano in questo genere, tra essi Black Rain (1989) e Il gladiatore (2002) di Ridley Scott sono soltanto due esempi.
Anche la commedia ha un certo successo, ma si tratta di una commedia demenziale in cui spiccano le figure Eddie Murphy e Jim Carrey. Quest’ultimo dà prova di grande bravura nel film di un altro grande regista, l’australiano Peter Weir che con The Truman Show (1998) traccia un inquietante scenario della società americana soggiogata dai media e dalla pubblicità.
Grandi maestri del cinema americano sono il sempre più grande Woody Allen, e Robert Altman, registi che continuano a produrre i loro capolavori senza sosta, raggiungendo momenti alti di perfezione, saggiando e tracciando il ritratto di una società che si racconta, a tratti espressamente altrove in maniera velata, con i propri vizi e le proprie imperfezioni: Hannah e le sue sorelle (1986), Settembre (1987) di Woody Allen; Pret-a-Porter (1994), La fortuna di Cookie (1999) di Robert Altman sono solo alcuni titoli.

Grandi registi sono anche Martin Scorsese, regista passionario, autore di Taxi Driver (1976), Toro scatenato (1980), The departed (2006); Milos Forman che, dopo il notevole successo di Qualcuno volò sul nido del cuculo, (1975), si ripete con Amadeus (1984), film sulla vita di Mozart; Brian De Palma che realizza Scarface (1983), Carlito’s way (1993); Abel Ferrara, con i suoi film controversi, Il cattivo tenente (1992), che ha fatto della violenza il punto di partenza della propria poetica cinematografica; Spike Lee regista eclettico, il cui capolavoro è La 25a ora (2003); i fratelli Coen che hanno fatto della parodia la lente attraverso cui osservare l’America, e che con il film Il grande Lebowski (1988) offrono la summa della loro bravura; Quentin Tarantino il regista degli eccessi, Pulp Fiction (1994) è il suo capolavoro; Clint Eastwood che passando dal ruolo di attore a quello di regista, attraverso la delicatezza dei suoi film, ha saputo raccogliere l’emozione che anche le cose della vita quotidiana possono offrire, I ponti di Madison County (1995) fino allo strepitoso Gran Torino (2008); l’indipendente Gus Van Sant, il regista delle minoranze, di cui traccia un malinconico ritratto Will Hunting – Genio ribelle (1997), Scoprendo Forrester (2000); David Cronemberg, il regista delle allucinazioni, Il pasto nudo (1991), il suo capolavoro e Crash (1996); il visionario, surreale David Lynch con The Elephant Man (1980), Una storia vera (1999); Tim Burton che ha saputo creare il suo personalissimo mondo fatto di fiabe minacciose e surreali Edward mani di forbice (1990), La sposa cadavere (2005); Jonathan Demme elegante, anticonvenzionale, autore di film come Il silenzio degli innocenti (1991) e Philadelphia (1993).

Il cinema inglese a seguito della diaspora dei propri registi verso gli Stati Uniti e viceversa, non ha più una fisionomia nazionale precisa. Negli anni Ottanta si cerca di uscire dalla crisi cinematografica, attraverso una nuova serie di film su James Bond: Solo per i tuoi occhi (1981), Octopussy - operazione piovra (1983), Mai dire mai (1983), che si alternano a film come Gandhi (1982) e Passaggio in India (1984). Il regista più importante del cinema inglese è Peter Greenaway, dal raffinatissimo gusto pittorico, che considera il cinema come un’arte visiva e da questo principio parte nella sua costruzione delle immagini, tra i suoi film Il ventre dell’architetto (1987), Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante (1989), I racconti del cuscino (1995); di sapore più semplice ma mai banale è Ken Loach che realizza film di denuncia sociale Piovono pietre (1993), Terra e libertà (1995), Bread and Roses (2000). Interessante è anche l’opera di Mike Leigh, Stephen Frears e Michael Winterbottom. Il teatro ritorna nei film di Kenneth Branagh Molto rumore per nulla (1993), Hamlet (1996).

Nel nuovo cinema tedesco va segnalata l’opera di Volker Schlöndorff, la cui opera ha quasi carattere di cronaca con forti richiami alla realtà, Il tamburo di latta (1979), La strada di Swann (1984); Rainer Fassbinder, regista di maniera che nei suoi film racconta l’angoscia del vivere Il matrimonio di Maria Braun (1979); Werner Herzog con i suoi apologhi della realtà Nosferatu (1978), Fitzcarraldo (1982); e la regista Margarethe von Trotta, politicamente impegnata, che traccia un ritratto lucido della realtà, Anni di piombo (1981), Rosa Luxemburg (1986).

Il cinema nordico cresce sempre sulla scia delle produzioni di Ingmar Bergman, tuttavia anche altre personalità di spicco si affacciano su quel panorama cinematografico: Bille August, ma soprattutto Lars Von Trier, l’erede di Dreyer, che propone alcune regole per girare i film senza fare uso degli effetti speciali, Le onde del destino (1996), Dancer in the dark (2000).

In Spagna Pedro Almodovar è l’erede di Buñuel. Il suo successo esplode in tutto il mondo, racconta la vita con la sua tragicità in maniera grottesca, Donne sull’orlo di una crisi di nervi,(1988), Tutto su mia madre (1999).

Nell’Est europeo è da menzionare il rigore e la poesia del regista polacco Krzysztof Kieslowski, il Decalogo (1989) è il suo capolavoro, ma sono da ricordare La doppia vita di Veronica (1991) e la sua trilogia Film blu (1993), Film bianco (1994), Film rosso (1994).

Emir Kusturica è la vera rivelazione del cinema della ex Jugoslavia, Arizona Dream (1993), Underground (1995). Nell’Unione Sovietica degli anni Settanta e Ottanta spicca la figura di Tarkovskij di cui ricordiamo Nostalghia (1983).

Il cinema giapponese ha perso gli antichi splendori, il suo più grande maestro Kurosawa è costretto a fare altrove i suoi film, Ran (1985) è una produzione francese. Tornerà in Giappone a girare Sogni (1990), uno dei suoi film più poetici. Takeshi Kitano fa parte della nuova generazione di registi giapponesi, i suoi film sono molto violenti, ma la violenza è filtrata da un rigoroso codice d’onore, con Hana Bi (1997) vince il Leone d’oro a Venezia.

Prolifico è il cinema cinese che offre degli spaccati degli ambienti rurali, piccole storie ma dal forte impatto emotivo. Zhang Yimou è il regista più importante Sorgo Rosso (1987), Lanterne rosse (1991), La strada verso casa (2000), alcuni titoli dei suoi film. Legato agli ambienti familiari Ang Lee di Taiwan La tigre e il dragone (2000).

Nelle altre cinematografie è il caso di menzionare il regista greco Theo Anghelopulos autore tra gli altri de Lo sguardo di Ulisse (1995). Interessente il caso della regista indiana Mira Nair, Moonson Wedding (2001) è Leone d’oro a Venezia; e del regista iraniano Abbas Kiarostami, Il sapore della ciliegia (1997), Il vento ci porterà via (1999).

Dall’avvento del sonoro fino ai nostri giorni tante pagine di cinema sono state scritte. Da allora, il cinema si è evoluto facendo proprie tutte le innovazioni che la tecnologia, sempre più avanzata, ha saputo produrre. Anche oggi, come allora, la settima arte rispecchia e trasmette agli spettatori appassionati le evoluzioni della società in cui viene generato. Forte del suo grande potere, che è quello di fare presa prepotentemente sulle masse, il cinema si rafforza in quello che è il suo carattere più esclusivo, e cioè la sua capacità di costruire illusioni caricandole tuttavia di un fortissimo senso della realtà, o di rappresentare la realtà stessa. Il film tra le varie forme d’arte, e forse quella più facilmente fruibile, entra in qualche modo a far parte della vita di ciascuno di noi, riflettendo attraverso le sue immagini il cammino della storia di cui è profondamente imbevuto e a cui continua ad attingere a piene mani.