Curcio Medie

Mancanza di governo sia per assenza di un valido potere a causa di rivoluzioni, sia per insufficiente esercizio del potere da parte di coloro che ne sono investiti. L’anarchia come condizione politica viene trattata diffusamente nella Politica di Aristotele, che la definisce appunto «mancanza di governo», ma alcuni spunti sono presenti già negli scritti di Platone.
L’anarchia come dottrina che propugna l’abolizione di ogni governo sull’individuo e soprattutto l’abolizione dello stato (anarchismo) assunse una fisionomia definita verso la metà del XIX secolo ed ebbe dapprima un carattere esclusivamente filosofico, per esempio in Max Stirner (1806-1856). Egli dichiarava che ciascun individuo, in quanto tale, è il centro del proprio universo, ed è quindi assurdo che egli debba obbedire a qualsiasi legge superiore; l’unica legge sarà il suo libero arbitrio.
William Godwin (1756-1836) è il primo pensatore che può essere considerato propriamente anarchico, in quanto rifiutò lo stato e la proprietà privata e propugnò una società, a cui voleva che si arrivasse senza l’uso della violenza, in cui tutti i beni sarebbero ripartiti ugualmente fra tutti gli uomini.
In seguito l’anarchia fu intesa come dottrina politica e sociale per la quale è ridotto al minimo il potere centrale dell’autorità. A questo proposito vanno ricordati Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865) e Michail Bakunin (1814-1876). Questa dottrina divenne sostenitrice di un decentramento dei poteri amministrativi della società perché i lavoratori potessero organizzare da soli la proprietà e l’amministrazione di tutta la ricchezza. Pur condividendo l’ideale collettivistico e anticapitalista del comunismo, l’anarchia si oppone al suo centralismo. Ed è appunto con il russo Bakunin che l’anarchismo giunge alle sue enunciazioni più accese; nella sua opera Dio e lo stato egli definisce maledetto ogni principio di autorità in quanto generatore di ingiustizie sociali.