Curcio Medie

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, si determina un grande salto qualitativo nella storia dei rapporti dell’uomo con la natura:  dopo la Rivoluzione del Neolitico e la Rivoluzione scientifico-tecnica del Settecento scoppia la Rivoluzione industriale, che ha segnato l’alba di un nuovo mondo, il mondo di oggi,  totalmente diverso da tutto ciò che il pianeta aveva visto fino ad allora.

La nuova società industriale sposa l’innovazione delle macchine capaci di svolgere da sole il lavoro di parecchi uomini,  sperimenta sconvolgenti trasformazioni dei sistemi produttivi tradizionali, moltiplica gli scambi, mette a frutto nuove risorse, consente la formazione e l’accumulazione del capitale.

Come tutte le rivoluzioni, quella industriale ha generato un gran numero di conseguenze: l’incremento dell’industria comporta la costruzione di grandi fabbriche, e quindi lo sviluppo delle città che gravitavano attorno; la trasformazione radicale del modo di lavorare ( non più artigianale) ma sulle macchine e sulla catena di montaggio ha cambiato la vita di migliaia di persone, con la nascita di una  nuova classe sociale, la classe operaia.

Grandi masse di lavoratori abbandonavano le campagne e le piccole botteghe dei villaggi attratti dalla grande fabbrica che garantiva lavoro continuo, anche se assai duro , dando l’avvio a quel grande fenomeno migratorio detto inurbazione. Carbone e ferro erano indispensabili all’industria, e decollarono quindi le attività collegate: l’industria mineraria, la siderurgia, la metallurgia, e il grande commercio degli scambi internazionali.

La rivoluzione industriale comunque non esplose ovunque nello stesso periodo: iniziò alla fine del Settecento- inizi Ottocento in Inghilterra, il paese allora all’avanguardia nel mondo in campo politico e economico, per diffondersi poi in Francia, Germania e Svizzera; negli Stati Uniti  scoppiò letteralmente  intorno alla metà dell’Ottocento, e alcuni anni dopo anche in Italia.

Per la prima volta, si creano ambienti totalmente artificiali, paesaggi integralmente umanizzati, di cui sono un esempio le grandi città, le megalopoli da parecchi milioni di abitanti che offrono spesso scorci allucinanti: selve di grattacieli, sopraelevate e viadotti, ignobili agglomerati, casermoni abitativi, dove qualsiasi elemento di natura è bandito, e persino i normali rapporti umani diventano impossibili.

Questo rapido passaggio a un’economia quasi del tutto monetarizzata, sembra far dimenticare alle società più avanzate che ogni sviluppo sociale ed economico dipende pur sempre dalle risorse naturali che esse utilizzano, soprattutto quelle definite  risorse non riproducibili, esistono infatti nella Terra in quantità definita e limitata, non inesauribile (carbone, petrolio, minerali); il loro sfruttamento intensivo e incosciente, reso possibile dalle capacità tecnologiche acquisite, sottrarrà risorse alle generazioni future. Se dunque la Rivoluzione industriale ha portato all’umanità innegabili vantaggi, ha tuttavia partorito anche  quei gravi problemi di fondo che, tutti insieme, disegnano quello che oggi è definito il malessere della società: l’esaurimento delle risorse non rinnovabili, la distruzione di quelle rinnovabili, inquinamenti, effetto serra, piogge acide, erosione della fascia d’ozono, sovrappopolazione, urbanizzazione, diminuzione della ricchezza biologica del pianeta.

È chiaro che occorre prendere coscienza della gravità dei problemi che incombono e immaginare soluzioni per  costruire il nostro futuro, superando vecchi modi di pensare, e affrontando i problemi apparentemente insolubili. Si impone,  un mutamento radicale di modelli culturali:è necessario analizzare quanto accaduto, ridisegnare la nostra concezione del mondo, ristabilire le regole di un nostro possibile ritorno alla convivenza con la natura; il tutto però senza utopistiche e nostalgiche ideologie di ritorno al passato e totale abbandono del progresso.