Curcio Medie

Iniziamo la nostra carrellata sui grandi del cinema francese con tre protagonisti della Nouvelle Vague: Eric Rohmer, Jacques Rivette e Jean-Luc Godard.
Mentre quest’ultimo prosegue la sua monumentale Histoire(s) du cinéma iniziata nel 1988, Rohmer abbandona i suoi amati «cicli» (l’ultimo era stato il delizioso «I racconti delle quattro stagioni») per dedicarsi all’esplorazione delle potenzialità offerte dalla tecnologia digitale, per cimentarsi in un dispettoso (ma garbato) revisionismo della storia contemporanea e, soprattutto, per far rivivere sullo schermo il mondo immaginato dalla pittura ottocentesca (La nobildonna e il duca, 2001) e dalla letteratura del XVII secolo (Gli amori di Astrea e Celadon, 2007). Rivette, invece, dopo avere dedicato alla sua musa Jeanne Balibar il vorticoso Va savoir e il cupo La duchessa di Langeais, riesce finalmente a realizzare con La storia di Marie e Julien (2003) un progetto rimasto nel cassetto per quasi trent’anni.

Ma il cinema francese è anche quello di Jean-Marie Straub e Danièle Huillet, coppia inossidabile del cinema di ricerca che è stata costretta a sciogliersi solo a causa della morte, nell’ottobre 2006, della Huillet. Dopo essersi cimentati in passato con Böll, Corneille, Brecht, Fortini, Engels, Duras, Kafka e Hölderlin, i due si dedicano ora a Vittorini, affidando a un gruppo di non attori (tra cui spicca la straordinaria Angela Nugara) la lettura di brani tratti da Conversazione in Sicilia e Donne di Messina (Sicilia!, 1998; Operai, contadini, 2001; Il ritorno del figlio prodigo-Umiliati, 2002). Nel 2004, inoltre, Straub-Huillet ci regalano anche Une visite au Louvre, affascinante documentario ispirato ai dialoghi con Cézanne di Joachim Gasquet (Ce qui m’a dit…, 1921).

Un’altra esponente del cinema francofono non riconciliato è la belga Chantal Akerman che, nel decennio qui considerato, si cimenta sia nel documentario (Sud, 1998, e De l’autre côté, 2001, entrambi dedicati al «cuore nero» del Texas), sia nella messa in scena delle immortali tematiche del dolore d’amare: lo fa nel rigorosissimo La Captive (2000) – rendendo visibili le atmosfere e le pulsioni del proustiano La prigioniera – e nell’arioso Demain on déménage (2003), dove vengono invece usati i toni della commedia e dove la Akerman ci regala addirittura un momento di puro slapstick.

L’ultimo «grande vecchio» della nostra rapida rassegna sul cinema d’oltralpe è Alain Resnais. L’autore di Hiroshima mon amour,

ribadisce con Parole, parole, parole… (1997), che «la vita è un romanzo», immergendo i suoi fedelissimi attori in un mare di canzoni che hanno il compito di commentare e sottolineare le scene rappresentate. Passando dalle canzonette alla commedia musicale, l’omaggio agro-dolce di Resnais al mondo del palcoscenico prosegue con Pas sur la bouche (2003) fino a giungere, nel 2006, al gradito ritorno ad Ayckbourn rappresentato da Cuori.